Ravenna, si buttò dal nono piano con la figlia di sei anni che morì. Al via la Corte d’Assise: il papà non si costituisce parte civile

Ravenna
  • 14 maggio 2025

RAVENNA. Si è aperto oggi davanti alla Corte d’Assise di Ravenna il processo per l’omicidio della piccola Wendy, la bimba di sei anni morta l’8 gennaio 2024 dopo un volo dal nono piano di un palazzo in via Dradi 39, tra le braccia della madre, Giulia Lavatura Truninger. La donna, 42 anni, sopravvissuta all’impatto, è accusata di omicidio volontario, ma è stata ritenuta totalmente incapace di intendere e volere al momento dei fatti e considerata socialmente pericolosa.

Presieduta dal giudice Giovanni Trerè, con Antonella Guidomei a latere, la Corte ha aperto l’udienza acquisendo, con il pieno consenso di accusa e difesa, gli atti dell’incidente probatorio – tra cui la perizia psichiatrica – oltre a tutta la documentazione medico-legale e d’indagine. Il pubblico ministero Stefano Stargiotti ha ribadito che «quanto accaduto quella mattina è pienamente accertato», chiedendo che il dibattimento si fondi sull’analisi degli atti già in fascicolo.

L’avvocato Massimo Ricci Maccarini, difensore della 42enne, ha sottolineato: «La nostra idea è che fosse importante, in questa tragedia, un lavoro di ricerca della verità non solo fattuale ma anche all’interno della mente dell’autrice del fatto».

In aula erano presenti gli zii dell’imputata. Assente il marito, padre della bambina, rappresentato dall’avvocato Massimo Moriglioni, che ha dichiarato di non avere intenzione di costituirsi parte civile.

Unico teste ascoltato, il vice questore Claudio Cagnini – all’epoca dirigente della Squadra Mobile – ha ricostruito la scena del dramma: i corpi di Wendy e della cagnolina di famiglia furono trovati a terra poco prima delle 8, mentre la madre, sopravvissuta alla caduta, veniva trasportata semi-cosciente all’ospedale Bufalini. All’interno dell’appartamento, situato al nono piano, fu ritrovato un pouf accostato alla finestra e un cassetto colmo di farmaci.

In aula sono state mostrate le immagini dei rilievi, inclusa la finestra spalancata e il peluche ritrovato accanto al corpo della bambina. Ricostruita anche la dinamica del gesto: la donna, con la figlia in braccio e la cagnolina legata alla cintura, si sarebbe arrampicata sull’impalcatura del cantiere che avvolgeva l’edificio, per poi lanciarsi nel vuoto.

Pochi minuti prima del fatto, la 42enne aveva pubblicato un post sui social in cui scriveva: «Perché ho dovuto farlo». Un lungo sfogo dai tratti farneticanti, poi attentamente analizzato dagli inquirenti.

Il processo proseguirà con la discussione in camera di consiglio, fissata per l’inizio di giugno. In quella sede, sulla base della perizia psichiatrica già acquisita, la Corte potrebbe pronunciarsi per il non doversi procedere, con la probabile applicazione di una misura di sicurezza.

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