Rimini. Allarme Sharenting, l’esperta: “Attenzione a condividere le foto dei figli sul web”

Rimini

Condividere sui social immagini e dati dei minori è molto rischioso, lo conferma il sondaggio condotto su 600 riminesi. A illustrarne l’esito è Ilenia Imola, esperta di innovazione digitale del Comune di Rimini. Nel suo curriculum figurano anche collaborazioni con il centro per le famiglie, nell’ambito del progetto “Digitale facile, consultabile sulla pagina omonima.

Imola, partiamo dalle basi: cosa si intende per Sharenting?

«Questa espressione, che deriva dalla crasi tra due parole inglesi: Share, “condivisione”, e Parenting, “genitorialitá”, si riferisce a una condivisione frequente e continuativa di informazioni su minori, da parte dell’ambito genitoriale o parentale di riferimento».

Cosa ha evidenziato il questionario sottoposto a 600 fra genitori (che costituivano la percentuale maggiore), nonni e zii riminesi?

«Sulla delicata questione si percepisce uno smarrimento generale alla luce di dati contrastanti».

Qualche esempio?

«Il 39% dei partecipanti al sondaggio ritiene sbagliato postare foto dei figli ma più del 33% fra loro lo fa abitualmente. Quel che sembra mancare è poi la collocazione tra adulti: il 56,69% degli intervistati dice di parlare delle criticità del digitale con altri genitori, focalizzandosi sulle conseguenze nel rapporto con i figli, ma poi il 53,42% pubblica comunque. Un altro dettaglio che emerge è che anche nello stesso nucleo familiare, ognuno gestisce in modo autonomo la decisione di condividere foto e dati dei più giovani del gruppo senza confrontarsi con gli altri. Uno spaccato, quello emerso, che ci ha convinto ancora di più a sollecitare un uso consapevole del digitale, seppur senza demonizzarlo. Va aumentata, in estrema sintesi, la sinergia fra familiari ma anche tra familiari e soggetti esterni: dalla scuola di musica all’associazione sportiva a cui abbiamo iscritto il proprio figlio. Il motivo? Firmare liberatorie a iosa non è sufficiente, bisogna proteggere identità e reputazione digitale dei minori».

Quali misure possono essere adottate per sensibilizzare i genitori sui pericoli insiti nello Sharenting?

«Occorre comprendere che, una volta postata, una foto rimane comunque in rete. Anche la sua rimozione potrebbe essere inutile. Spesso non si pensa che quell’immagine può finire in mani sbagliate anche per fini pedopornografici. Questa debole consapevolezza deriva dal fatto che nonni e genitori d’oggi non sono nativi digitali. Esiste un gap generazionale, oltre a una mancata esperienza, che ci pone in una situazione di criticità. Un motivo in più, questo, per mantenere la guardia alta».

Dai 14 anni in su un minorenne può chiedere da solo la rimozione di materiale offensivo a suo carico, se è vittima di cyberbullismo. Sarebbe bene intervenire anche su materiali pubblicati dalla propria schiera familiare?

«È preferibile mettere a punto un’educazione preventiva in modo da non far tracimare la situazione».

Oltre al rischio di violazione della privacy, esporre minori sulle piattaforme comporta un altro pericolo: fornire dati personali e possibilità di localizzazione. Cosa ne pensa?

«Bisogna evitare di dar in pasto i bambini a eventuali malintenzionati. Persino condividere informazioni su impegni sportivi o vacanze può rivelarsi un azzardo. Come genitori occorre fare un passo indietro. Per cominciare, basterebbe evitare l’uso dei cellulari durante i pasti o al parco. In sostanza, cioè, le nostre abitudini rispetto alle tecnologie devono tener conto del ruolo genitoriale ma anche del rispetto per la nostra persona senza abbandonarsi a distrazioni di massa, come ad esempio controllare le notifiche durante la guida».

C’è chi posta immagini di bambini malati o disabili per lanciare messaggi di coraggio o alleviare il peso della solitudine. Cosa ne pensa?

«Purtroppo la fantasia dei truffatori, che potrebbero impadronirsi di tali scatti per false raccolte fondi, è infinita. Meglio evitare tali condivisioni proprio per tutelare la dignità del bambino in un momento di particolare fragilità. Un altro rischio è lasciare in rete notizie di eventuali malattie croniche o disturbi alimentari su veicoli digitali, compreso whatsapp, che sono casse di risonanza dall’amplificazione incontrollabile. Il tema della riservatezza è un diritto assoluto. Resta un’impronta digitale, ricordiamocelo, anche solo collegandosi a internet».

Sono sempre più frequenti i baby influencer. Serve un giro di vite a livello normativo?

«Frapporre uno schermo tra sguardi incide profondamente nella relazione genitori-figli. È imprescindibile assicurare dignità ai più piccoli, creando una comunità digitale consapevole. Prima ancora di un aiuto normativo occorre un cambio di passo tenendo presente che il mondo digitale è una realtà a tutti gli effetti».

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