Cesena, simbolo della Resistenza nonviolenta dei Palestinesi racconta la lotta contro occupazione e soprusi

Si chiama Sami Huraini ed è diventato un simbolo, ormai noto a livello internazionale, della resistenza nonviolenta del popolo palestinese all’occupazione e alle violenze dei coloni israeliani. Un impegno che ha pagato sulla propria pelle, finendo in carcere per la prima volta quando aveva appena 15 anni. Allora ci rimase per tre giorni, ma ora rischia una condanna più pesante: è infatti in attesa di conoscere la sentenza di un tribunale speciale israeliano, che lo ha accusato di avere organizzato una manifestazione bollata come illegale per protestare a seguito della morte di un palestinese rimasto paralizzato per due anni dopo che soldati israeliani gli spararono perché si opponeva al sequestro di un generatore di corrente elettrica, essenziale per la sua famiglia.

Le azioni resistenti

Di tutte queste dure esperienze vissute in Cisgiordania, sulle orme di sua nonna che iniziò la sua personale resistenza fin dal 1948, quando i palestinesi cominciarono a essere cacciati dalle loro terre per stanziare al loro posto gli ebrei, Sami ha parlato sabato sera. Ad ascoltarlo un centinaio di persone, che hanno stipato la sala del Centro Pace in via Chiaramonti, nonostante l’iniziativa fosse stata organizzata poche ore prima da “Mediterranea Saving Humans”, con la partecipazione di attivisti di “Operazione Colomba”. Sono quelli che da una ventina di anni fanno attività di supporto alla popolazione palestinese in Cisgiordania, interponendo i loro corpi per prevenire e contrastare violenze che là sono quotidiane. Damiano Censi, che fa parte di un gruppo di persone che a Cesena danno manforte a quella lotta pacifica ma determinata, ha introdotto l’ospite, che ha spiegato in modo semplice ma efficace, che «oggi la resistenza in Palestina è, prima di tutto, esistenza». Nel senso che consiste nel non cedere alle aggressioni di chi vorrebbe allontanare gli abitanti, aiutandosi collettivamente a restare lì e a cercare di garantire collettivamente un minimo di sicurezza. Anzi, Sami e altri, stanno anche provando a tornare in villaggi da dove i palestinesi sono stati espulsi illegalmente, creando per esempio una sorta di case dove vivere in alcune grotte accanto alle zone occupate dai coloni israeliani. Proprio i soprusi di questi ultimi sono stati raccontati dall’attivista durante l’incontro al Centro Pace. Impressionante, soprattutto, la persecuzione «dei bambini attaccati con spranghe e catene mentre vanno a scuola». I resistenti nonviolenti hanno organizzato una sorta di “scorta” per loro, così come fanno servizi di accompagnamento di chi porta le greggi al pascolo (anche Sami faceva il pastore) o degli agricoltori che vanno a lavorare nei campi, per tutelarli da brutte sorprese. L’attività di sorveglianza dei bambini diretti a scuola è poi passata in mano a militari israeliani. Ma dopo il 7 ottobre scorso e la successiva invasione di Gaza, la situazione è precipitata in tutta quanta la Palestina e quegli alunni semplicemente non possono più frequentare la scuola, perché ai coloni sono stati forniti dalle autorità ufficiali israeliane armi e addirittura divise militari, in pratica arruolandoli di fatto nell’esercito.

Il futuro

Sono solo alcune delle terribili scene di vita quotidiana che Sami ha raccontato per quasi due ore a Cesena, spiegando che la presenza di non palestinesi al fianco di palestinesi è preziosa, perché in quei casi l’atteggiamento degli israeliani è meno violento rispetto a quando non ci sono. Ha inoltre invitato a continuare a organizzare manifestazioni in piazza, perché a differenza di quanto si vuole fare credere sono utili. Poi non ha mancato di rispondere alla domanda sulla fattibilità del modello “due popoli, due Stati” (lui non ci crede e pensa che l’unica strada da percorrere sia quella che porta a un trattamento egalitario dell’intera popolazione all’interno di un unico Stato, rispettando i diritti di tutti, incluso quello del ritorno dei palestinesi nelle terre che si sono viste sottrarre illegittimamente) e ha detto la sua sulle critiche all’attuale leadership palestinese (Sami, come tanti altri, auspica che Marwen Barghouti venga scarcerato e possa scalzare Abu Mazen e la sua cerchia, ritenuti non all’altezza per trovare una soluzione, e anzi ormai collusi per difendere i propri privilegi). L’unico momento in cui le parole dell’attivista sono state accolte con un po’ di perplessità da alcuni dei presenti al Centro Pace è stato quando gli è stato chiesto cosa pensa di Hamas: si è limitato a dire che è «un partito di Gaza e un gruppo che fa resistenza armata a Israele», senza spingersi in ulteriori giudizi. Un atteggiamento peraltro comprensibile in una terra dove la logica della contrapposizione e il rischio della repressione di chi esprime dissensi sono diventati una tragica normalità a 360 gradi.

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