Cesena, mancano 80 centimetri quadrati, non può ospitare la moglie nella casa ad affitto sociale

Deluso, arrabbiato e stufo da inefficienze e burocrazie. Soprattutto dopo aver riposto fiducia in un “paventato cambio di rotta” da parte degli amministratori pubblici. È la condizione di A. A., pensionato e volontario del Centro Aiuto alla Vita (Cav), da anni impegnato nell’ambito dell’emergenza abitativa. Combatte da mesi con burocrazia e «superficialità degli uffici comunali». Insieme alla moglie, è proprietario di un bilocale a Cesena che, inutilizzato, decide di mettere sul mercato degli affitti. A seguito della scadenza di un primo affitto, sentiti gli appelli della ‘Papa Giovanni XXIII” durante un incontro a Ponte Abbadesse, dedicato alle difficoltà di reperire case in affitto (al quale partecipano il sindaco Lattuca con altri esponenti dell’amministrazione e la Fondazione per l’Affitto Fpa), ha scelto di offrire l’appartamento all’associazione. Unica condizione posta dal titolare è che l’inquilino abbia lavoro regolare. Il presidente della Papa Giovanni, quindi presenta ad A. A. e consorte Jack, camerunense, in Italia da mesi e dipendente di una nota azienda alimentare locale. Con Jack stipula un contratto convenzionato di locazione presso la Fpa.
E qui inizia la trafila di problemi: ottenuta la casa Jack attiva le pratiche per il ricongiungimento familiare di moglie e figlio di un anno. Per la cui concessione la legge richiede l’esibizione di un certificato attestante la conformità dell’alloggio ai requisiti igienico-sanitari e l’idoneità abitativa: accertabili dal Comune. Un dipendente comunale il 10 dicembre 2024 ispeziona il bilocale e verbalizza: “Jack dispone di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari e idoneo a ospitare nuclei composti da una persona”. In quella casa, dunque, moglie e bimbo non possono stare. La ragione di quanto messo agli atti dal Comune è la mancanza di una porzione legale di superficie della camera da letto matrimoniale: risultata di 13,20 metri quadrati (muri esclusi). 80 centimetri quadrati in meno rispetto ai 14 mq richiesti dalla normativa comunale. Se per il bambino, come comunica l’addetto comunale, non si ravvedono ostacoli alla convivenza col padre per via della tenera età, questi si tramutano in impossibilità per la moglie. Con quelle misure la donna non può abitare la casa. Qui parte “la lotta” con la pubblica amministrazione. L’anagrafe del Comune, nonostante la rilevata inidoneità ad ospitare più persone da parte dell’ufficio competente, concede la residenza cesenate alla moglie e al figlio di Jack in quella casa. Già pronto a recarsi presso la Fpa per l’intimazione dello sfratto all’inquilino, onde evitare di contravvenire alle prescrizioni comunali ed evitare sanzioni, A.A. si ritrova davanti a una palese contraddizione. Sconcertato interpella anche l’ufficio immigrazione della Questura che gli fornisce la risposta immaginata: non è ammesso concedere la residenza senza idoneità alloggiativa. Dovrebbero essere l’una conseguente all’altra. Senza considerare che per ricevere la residenza occorre che lo straniero sia anche in possesso di regolare permesso di soggiorno. «Siamo davanti - afferma A. A. - al classico esempio di inefficienza e superficialità dell’apparato pubblico: due uffici dello stesso ente che non comunicano l’uno con l’altro». A. A. ha esposto il suo problema fino ai vertici comunali. Viene rassicurato circa un pronto intervento da parte delle istituzioni per risolvere la faccenda “senza violare la legge”. A oggi però i proprietari non hanno ricevuto alcun riscontro. La domanda dei locatori è una sola: «Cosa devo fare?». Intanto, la fiducia di A. A. e degli altri piccoli proprietari disposti a mettere sulla piazza i propri alloggi vuoti «è finita» conclude.