Cesena, l’Università di Bologna riforma lo statuto: i Campus romagnoli entrano nel senato accademico

Nella storia dei campus romagnoli la modifica approvata ieri allo statuto dell’Università di Bologna è uno di quei passaggi che si possono definire storici senza il rischio di risultare enfatici. Il voto di ieri ha sancito infatti, tra le altre cose, l’ingresso nel senato accademico, l’organo che definisce le linee di indirizzo politico dell’ateneo, di un presidente dei Campus romagnoli, eletto dai professori e ricercatori dei Campus, e per gli altri tre la possibilità di partecipare senza diritto di voto.
È il frutto di un percorso cominciato a giugno se si guarda nello specifico al lavoro fatto sul testo, ma che testimonia la solidità del percorso decennale dei campus romagnoli, che da quando sono nati hanno saputo accreditarsi dentro e fuori l’ateneo non come succursali di Bologna ma come ulteriori centri didattici, un’esperienza la cui maturità trova riscontro nel voto di ieri con cui si dà ulteriore sostanza a quel comma 2 dell’articolo 1 dello statuto in cui l’Università di Bologna di definisce multicampus.
Ha fatto parte del gruppo di lavoro di revisione dello statuto anche Massimo Cicognani, presidente del Campus di Cesena: «Per capire la portata di questa novità - ha spiegato - bisogna guardare alla storia dell’Ateneo e dei campus. Tra il 2001 e il 2012 c’erano i poli scientifico-didattici erano strutture che godevano di una forte autonomia, c’erano le Facoltà e molte di queste erano in Romagna. Poi è arrivata la riforma Gelmini che ha reso prossima allo zero quella autonomia. In quegli anni con il rettore Dionigi c’è stato un forte accentramento testimoniato anche dalla trasformazione dei presidenti di campus in coordinatori. Con il rettorato di Ubertini è cominciata un’inversione di marcia, i coordinatori sono tornati presidenti, ma per le troppe resistenze la modifica della composizione del senato accademico non si fece». È avvenuta invece con il rettore Molari, nel percorso portato a compimento ieri.
«Questa riforma - ha dichiarato ieri il rettore Giovanni Molari - fissa a livello statutario esigenze, idee e proposte che hanno attraversato almeno due campagne elettorali e che fino ad ora non avevano trovato posto nella nostra carta fondamentale. Sono convinto che tale revisione ci restituisca un Ateneo non solo più efficiente, ma anche più democratico e partecipato, e dunque più forte. La discussione è stata intensa, le opinioni sono state diverse e sono particolarmente soddisfatto che si sia intrapresa una strada di cambiamento nella quale, personalmente, ho sempre creduto».
È un Ateneo più democratico e più rappresentativo delle diverse componenti accademiche quello che disegna il nuovo statuto. A partire dal Consiglio di Amministrazione, i cui cinque membri interni non saranno più nominati dal senato accademico ma eletti direttamente da tutto il personale. Quattro saranno professori o ricercatori e per la prima volta ci sarà un membro del personale tecnico-amministrativo. Nel senato accademico aumenta da 10 a 15 la presenza dei direttori di dipartimento e c’è l’ingresso di un presidente di campus. Ci sono poi novità che riguardano i rappresentanti degli studenti, la nascita di commissioni miste tra Cda e senato. «Abbiamo dettagliato meglio il ruolo dei presidenti», aggiunge Cicognani.
Le nuove modifiche superano la figura del prorettore alla Romagna: «Un superamento che di fatto era già avvenuto visto che sia Ubertini che Molari hanno deciso tenere per sé quel ruolo. Ma io chiedo: meglio un prorettore alla Romagna che di fatto non viene nominato da anni o rafforzare il ruolo dei presidenti e dargli rappresentanza in senato accademico? Fin qui un quarto dell’intero ateneo non trovava rappresentanza nel senato di fatto espressione solo di Bologna. Qualcuno dirà che i presidenti dovevano entrare tutti e quattro, ma io che sono matematico rispondo che è molto più grande da colmare la distanza tra 0 e 1 che quella tra 1 e 2».