Lia Celi presenta oggi a Rimini il suo ultimo libro: l'intervista

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La scrittrice riminese Lia Celi presenta a Rimini per la prima volta il suo ultimo lavoro fresco di stampa: Carolina dei delitti (Salani, 2023, pp. 272, euro 16,90), oggi alle 18 al bar Primo Bacio di piazza Cavour. L’appuntamento fa parte della rassegna “Un libro per the. Incontri con l’autore nei luoghi no slot di Rimini”.

Lia, come definirebbe questo volume: un romanzo storico, una biografia, un giallo...?

«Diciamo che è la sintesi di tutti i miei grandi amori: il giallo, l’umorismo e la storia. In particolare l’altra metà della storia, le donne, le grandi dimenticate. Dimenticate anche quando sono state grandi, come Carolina Invernizio . Per mezzo secolo è stata la scrittrice più letta d’Italia, ma aveva due colpe imperdonabili: era una donna e scriveva romanzi d’intrattenimento non destinati all’establishment istruito (che però la leggeva di nascosto), ma alla gente semplice, affamata di svago e di evasione».

È il suo primo romanzo per un pubblico adulto: emozionata, impaurita?

«Non troppo. E lo devo proprio a Carolina Invernizio, la mia protagonista. Per resuscitarla ho dovuto entrare nella sua personalità. Lei ha sempre scritto quel che le piaceva, senza curarsi del disprezzo dei critici. L’importante era non tradire se stessa né il suo pubblico. Credo che sarebbe contenta di vedersi per la prima volta nei panni di investigatrice – un ruolo che dava spesso alle protagoniste dei suoi romanzi, impegnate a sbrogliare complicatissimi e sanguinosi intrighi – e sono sicura che veglierà su un libro che le rende tutto l’onore che merita».

Come mai la scelta di un nome desueto per la protagonista come quello di Carolina Invernizio? E la scelta di indagare proprio sul caso Salgari come nasce?

«Nel mio romanzo Carolina decide di occuparsi del suicidio di Salgari perché ci vede un suo corrispettivo maschile: prolifico, popolarissimo ma snobbato. E perché la sua fine tragica e misteriosa sembra uscita da un feuilleton. Per la stampa dell’epoca è solo una tragedia della miseria e dell’alcolismo, ma lei sospetta che ci sia dell’altro, e le sue indagini le daranno ragione. Scoprirà un torbido intreccio di trame familiari e politiche in cui rischierà di trovarsi pericolosamente invischiata lei stessa. È fiction, ma costruita su solidi elementi storici, intessuti così bene alla fantasia che ormai non sono più sicura che le cose non siano andate veramente come nel mio libro...».

Cosa ci può dire della Torino della Belle Époque?

«Che sarebbe bello avere una macchina del tempo per tuffarcisi. Non solo era la città più evoluta ed europea d’Italia, capitale del cinema e dell’automobile, ma nel 1911 stava celebrando il cinquantenario di un’Unificazione di cui era stata il grande motore. E lo faceva ospitando un’Esposizione Universale di cui parlò tutto il mondo . Il Novecento era ancora innocente, si poteva credere fiduciosamente nel progresso, senza il fardello angoscioso delle tragedie che avrebbero segnato il secolo. E che erano dietro l’angolo: il primo assaggio, alla fine del 1911, sarebbe stato proprio la guerra di Libia, laboratorio di orrori come i bombardamenti aerei, le deportazioni di massa, i campi di concentramento, tutti inaugurati dagli italiani, per inciso, e poi applicati da altri su scala più vasta nei decenni successivi».

Ha un senso etichettare la letteratura di Carolina Invernizio come “rosa”, in senso discriminatorio in quanto rivolta a un pubblico femminile?

«È strano parlarne oggi che tutta la narrativa è in gran parte “rosa”, nel senso che le scrittrici sono la maggioranza e chi legge è soprattutto donna. Ma tecnicamente i romanzi di Invernizio erano più noir che rosa. Il vero motore delle sue storie non era il grande amore (anzi, spesso il principe azzurro si rivela un farfallone che seduce e abbandona), ma il desiderio di giustizia o di vendetta da parte di una donna che ha ricevuto un torto e dà la caccia ai suoi persecutori. A volte l’antagonista è un’altra donna, una malafemmina che gode nel fare il male e usa gli uomini come docili strumenti. In un’epoca in cui maschi e femmine, ricchi e poveri, non erano uguali davanti alla legge, per una donna del popolo avere giustizia doveva essere un sogno molto più eccitante che trovare marito».

Oggi escono opere pregevoli anche nella letteratura per ragazzi, anche in questo caso la divisione pare talora un po’ forzata.

«Anche perché la letteratura per ragazzi spesso affronta temi “adulti” e importanti, la differenza è un’apertura alla speranza che nei libri per grandi non c’è quasi mai. Come se il pessimismo fosse un connotato indispensabile della maturità e della letteratura seria. Ecco, questa soprattutto mi sembra una forzatura».

Come Mary Shelley, anche Carolina Invernizio ha sdoganato un genere e ha precorso i tempi?

«Carolina Invernizio deve molto al romanzo gotico, al feuilleton francese e ad autori italiani ingiustamente dimenticati, come Francesco Mastriani. Ma è stata una pioniera nella letteratura di consumo come la intendiamo oggi. Era una vera macchina da storie e il suo nome era diventato un marchio di garanzia, come più tardi sarà Liala nel romanzo rosa. Capiva i bisogni del suo pubblico e sapeva sempre soddisfarli con puntualità. Credo che Gramsci alludesse a questo quando la definiva “onesta gallina della letteratura”».

Come vede la presenza delle donne nel mondo letterario, italiano e internazionale? Abbiamo uno Strega dove prevalgono le scrittrici: maggiore qualità o migliori uffici stampa?

«Innanzitutto maggiore quantità, come ho già detto. L’editoria è sempre più in mano alle donne. Ma a volte ho il sospetto che alla letteratura stia succedendo quel che è accaduto alla scuola: gli uomini sono sempre meno interessati perché si guadagna poco, le donne cercano un’attività flessibile e conciliabile con gli impegni domestici. Oltretutto oggi scrivere non è più un mestiere da torre d’avorio, un autore deve anche saper gestire relazioni, con gli editori e con il pubblico, e in questo le donne ci sanno più fare...».

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