La violenza nelle relazioni affettive? Tempo di preparare “Un altro domani”

Spettacoli

«È un inferno essere amati da chi non ama né la felicità, né la vita, né se stesso, ma soltanto te».

La citazione in apertura del docufilm Un altro domani. Indagine sulla violenza nelle relazioni affettive, con la regia di Silvio Soldini (frase tratta da L’isola di Arturo di Elsa Morante), evidenzia subito l’intento di scavare a fondo nelle relazioni affettive per individuare il seme della violenza, che spesso si annida laddove la volontà di possesso e controllo esclusivo sulla donna viene scambiata per amore.

Un affresco umano, scritto da Soldini con Cristiana Mainardi, composto dalle testimonianze degli autori di violenza, delle vittime di maltrattamenti e stalking, che il regista milanese, autore di film che hanno segnato il nuovo corso del cinema italiano (Pane e tulipani, L’aria serena dell’Ovest) presenta stasera alle 21 alla multisala Abbondanza (corso Mazzini 51) per il secondo Festival de genere, in collaborazione con lo Sportello antiviolenza Alba dell’Unione Rubicone e Mare.

Il documentario di Soldini e Mainardi indaga sulle dinamiche psicologiche e socioculturali da cui ha origine la violenza, e su come si possa riconoscerla fin dai primi segnali, indicando la strada da percorrere verso la cura e la prevenzione. «Un viaggio nella violenza familiare», dice Soldini, che ha voluto indagare come in Italia siano mutate la sensibilità e la consapevolezza attorno al tema: «È giusto rimarcare che si tratta sempre di questioni della società, che ci riguardano tutti e affondano le radici in un sistema patriarcale, di cui molti retaggi culturali restano ancora da abbattere».

È inoltre un problema, aggiunge, che noi conosciamo solo come la punta di un iceberg, quella dei femminicidi di cui parlano i giornali, ma non si sa cosa ci sia nel sommerso di questi casi.

Soldini, qual è stato il vostro punto di partenza?

«Abbiamo avuto un input grazie all’invito ricevuto dalla questora di Savona Alessandra Simone, relativo a un’iniziativa da lei precedentemente creata alla Questura di Milano e all’avanguardia in Europa: il Protocollo Zeus. A partire dall’ammonimento amministrativo che colpisce gli autori di comportamenti violenti, questi sono guidati da un équipe di criminologi specializzati a intraprendere un percorso di consapevolezza “destinato a consegnare alla società uomini migliori”. Un discorso che è voluto andare alle radici del fenomeno e che abbiamo allargato all’ascolto di molte persone che si occupano del problema, magistrati, operatori. oltre naturalmente alle vittime di violenza. Un altro domani parla al pubblico e alla politica».

Nel film si insiste molto sulla necessità di rendere consapevoli che esiste una violenza nascosta: perché?

«Oltre alla violenza fisica, esistono altri tipi di violenza, verbale, psicologica, economica. E mentre la prima è immediatamente riconoscibile, la vera sfida è combattere pure le altre e valutarne i segnali coltivando e diffondendo la cultura della prevenzione, in linea con gli strumenti giuridici più recenti come il Protocollo Zeus. Il nostro impegno ha richiesto oltre un anno di riprese, quasi 100 ore di girato. Storie da una parte e dall’altra. Sui muri, sulle saracinesche e sulle panchine di Milano ci sono scritte di incoraggiamento per le donne. Mani tese oltre le ombre dei casermoni, là dove magari una famiglia si è appena sbriciolata e una ragazza, una madre rischiano la vita. La violenza psicologica è difficile da capire e da raccontare per chi le donne che la subiscono, essere credute quando raccontando questo tipo di violenza».

Come si può e si deve allora costruire «un altro domani»?

«Occorre capire che bisogna uscire da una concezione della famiglia patriarcale, maschilista, vissuta come fosse un universo a sé, che non ha niente a che fare con il mondo esterno. La violenza è un germe che spesso si trasmette a opera di chi l’ha subita a sua volta. Voglio citare invece nel film l’incontro con un ragazzo che si è accorto da solo che c’era qualcosa che non andava nel come si trovava a reagire con la sua compagna. E si è reso conto di dover chiedere aiuto agli psicologi. Una consapevolezza purtroppo ancora rara».

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