Lo statistico: "Virus, i dati dimostrano che le misure funzionano"

Parla Mario Mazzocchi, statistico e ricercatore, responsabile dell’Unità riminese del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna: "I dati provinciali giornalieri possono essere influenzati dai tamponi e altri fattori, più affidabile la tendenza media"

RAVENNA- Grafici, dati, curve, picchi. Immagini e parole che in questi giorni contrassegnati dal Coronavirus gli italiani hanno cominciato a conoscere e su cui in maniera inevitabile si discute. La materia è però delicata: un numero alto può non essere così spaventoso, un numero basso non significa necessariamente speranza. Per capire qualcosa di più abbiamo contattato Mario Mazzocchi, statistico e ricercatore, responsabile dell’Unità riminese del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna. Uno che, insomma, la materia la conosce bene e che ogni sera prova a vedere «il bicchiere mezzo pieno» evidenziando le varie tendenze nelle province e nelle regioni italiane sull’epidemia di Covid-19. Che la materia sia complessa, però, lo testimonia la sua premessa: «Io non sono un epidemiologo, mi occupo di statistica economica. Lo dico sempre affinché non mi si chieda quando saremo in sicurezza e quando usciremo dall’emergenza. Un conto è l’analisi dei numeri, un altro questo tipo di previsioni». Una volta messo in chiaro questo, però, Mazzocchi entra volentieri nella questione.

«Ho cominciato a fare un’analisi giornaliera divisa per territorio – spiega – perché secondo me molto spesso ci si ferma al solo dato dei nuovi casi positivi. Si tratta un dato che lascia un po’ il tempo che trova anche perché dipende molto dalla strategia con cui si fanno i tamponi». Soprattutto a livello provinciale, la curva appare molto instabile: «Ha dei rimbalzi, come avviene in Borsa. Varia nel tempo e altre imprecisioni sono legate alla tempistica». Mazzocchi non tiene in considerazione il numero assoluto ma l’incremento percentuale che è più confrontabile dal punto di vista statistico. Banalmente: 15 casi in più quando ce ne sono già mille non valgono come i 15 di due settimane fa, quando i positivi erano cento. Anche così, però, il dato sulle città rimane più “ballerino” di quello regionale. Mazzocchi, per attutire quello che in statistica si chiama un «dato rumoroso», fa la media degli ultimi quattro giorni.

Il caso ravennate Così impennate come quella che si è registrata la settimana scorsa a Ravenna (75) o anche ieri (64 casi in più) falsano meno l’andamento generale che rimane in linea generale buono: il 25 marzo in provincia l’incremento rispetto al giorno prima era stato del 5,2 per cento. A sua volta l’andamento del 24 marzo era in crescita del 7,6 per cento. Il giorno prima era del 10,7 per cento. Una tendenza in calo rovinata però dal dato di ieri, quando la crescita è stata dal 16,5 per cento. Dall’amministrazione si dice però che il dato comprende anche dei tamponi eseguiti ieri. È la dimostrazione plastica di quanto sostiene il ricercatore: il dato del 25 marzo era quindi probabilmente un po’ più alto, quello di ieri un po’ più basso. Per questo prende importanza la media degli ultimi quattro giorni, calcolata da Mazzocchi e pari ad un incremento di 36 casi che si traduce in una tendenza del 2,4%. Molto più contenuto quindi dell’incremento giornaliero secco, anche se in controtendenza rispetto a Rimini e Forlì-Cesena dove si registra invece un calo.

La tendenza generale I dati di questi giorni sono peraltro molto importanti perché arrivano a due settimane dal lockdown deciso dal governo. «In generale le misure sembrano funzionare – dice Mazzocchi – perché i dati degli ultimi giorni lo confermano: mi riferisco soprattutto ai dati regionali. In Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna le cose sembrano andate meglio da quando sono state prese le misure di contenimento: i numeri lo confermano, anche se è un miglioramento lentissimo. Però sembra di non essere più nella fase in cui la situazione era critica». Mazzocchi aggiunge che il dato più sicuro da prendere in considerazione è quello dei decessi e degli ospedalizzati in rapporto ai contagiati dei giorni scorsi. Quando questo indice si riduce piuttosto rapidamente, come sta avvenendo negli ultimi giorni, è una buona notizia: significa che la proporzione di casi più gravi si sta riducendo e con la riduzione nei contagi complessivi questo alleggerirà gli ospedali. «Cerco di catturare una tendenza – riprende Mazzocchi – e proprio perché i contagi sono in genere sottostimati servono dei dati più sicuri per capirla. La raccolta dei numeri sconta forse l’emergenza: potrebbe accadere che da un territorio arrivino più tardi, per questo la tendenza migliore da vedere è quella a livello regionale o nazionale. Poi può succedere che in una città possa esserci un’impennata di casi in una particolare giornata, ma la statistica si deve occupare proprio di questo: riportare le singole casistiche (come il cluster della palestra ravennate o della bocciofila imolese) in una tendenza generalizzata, evitando che anche i numeri possano generare eccessivo panico».

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