«Uomini violenti, una via d'uscita c'è»

Rimini

RAVENNA. Da due anni è attivo in città il progetto Muoviti per il contrasto alla violenza di genere, attivato dalla cooperativa sociale Libra. Lo psicologo Andrea Campione, responsabile del progetto, fornisce alcuni dati.

Cinquanta contatti e 30 prese in carico in due anni, rispetto ad altre realtà è un numero alto?

«Si tratta di un risultato importante confrontato con altre realtà. In prevalenza gli uomini sono inviati dai servizi sociali per la presenza di minori coinvolti. In altri casi c'è un provvedimento giudiziario, la magistratura ha sviluppato una sensibilità sul tema e sempre di più compare l'invito a frequentare il nostro servizio anche se non ci sono obblighi. Da Linea Rosa arrivano segnalazioni di donne ancora nella relazione con il maltrattante che chiedono aiuto per quest'ultimo. Nel 60% dei casi le persone hanno una denuncia in corso, una parte non è stata denunciata ma ha consapevolezza che c'è qualcosa che non va».

In che cosa consiste il vostro aiuto?

«Il servizio nato due anni fa è in rete con i servizi territoriali, con i centri antiviolenza con i servizi sociali e le forze dell'ordine. È un trattamento psicologico, con un percorso con incontri settimanali individuali che può durare anche un anno. Nel caso di invio dai servizi sociali c'è una verifica. Il servizio si muove in integrazione fra pubblico e privato. C'è un'agevolazione per uomini in difficoltà economica. Chi non ha un disagio economico paga per intero».

Che tipo di utenza avete?

«La fascia di età prevalente è fra i 40 e i 50 anni, che corrisponde alla fase in cui più spesso la coppia entra in crisi e rischia la separazione. La maggioranza è di nazionalità italiana, 6 sono stranieri. Quando arrivano da noi è a seguito di una violenza fisica, ma noi sappiamo che quella psicologica è presente da tempo. Se viene messa in discussione una posizione di potere si aggravano i comportamenti e vengono fuori episodi gravi».

Ci sono segnali di ravvedimento?

«Il cambiamento è il nostro obiettivo, spesso si tratta di persone che manifestano comportamenti violenti nel contesto familiari e non in altri. Seguiamo una metodologia specifica nata in Norvegia 30 anni fa. Certo non esiste la bacchetta magica, il percorso richiede tempo. Per noi è importante che l'uomo capisca il problema e che voglia lavorare su questo. Una via d'uscita c'è al di là della repressione, che è necessaria. Sono persone che hanno difficoltà a portare il proprio modo di essere in una modalità che non sia violenta. Bisogna lavorare sulle alternative».

Cosa succede quando ci sono figli?

«Abbiamo un'attenzione maggiore. Finora le situazioni critiche trattate coinvolgono la donna. Ma sui figli i disturbi non sono meno gravi che una violenza diretta. È importante come i figli stanno dentro relazione problematica».

In questi due anni quali sono i risultati?

«In alcuni casi il percorso si è concluso positivamente. In altri è in corso, per alcuni si è interrotto. Per tutti è utile se c'è un'intima riflessione. La risoluzione è un processo lungo ma possibile. Il tasso di successo per noi è significativo».

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