Rimini. Nardi il primario fustigatore va in pensione

Lascia una squadra «allenatissima, di cui sono orgoglioso» nel pieno della terza ondata che, non ha dubbi, «è peggio della prima». Lunedì per Giuseppe Nardi (celebre il suo appello dopo il lockdown) sarà l’ultimo giorno di lavoro in Terapia Intensiva dell’Infermi, quel reparto che nel giro di pochi mesi, a giugno scorso, ha più che raddoppiato i posti letto, saliti a 34 di cui 26 attualmente occupati.

Ad aprile del 2020 rilasciò al Corriere Romagna la prima intervista in epoca Covid, raccontando come la “marea” di malati cresceva, delle difficoltà ad organizzare posti letto, delle ripercussioni psicologiche su medici e infermieri del reparto. Cosa è cambiato da allora?

«Molto è cambiato ma la situazione dei contagi è peggio di allora. Non eravamo pronti, non c’erano ventilatori, siamo riusciti ad approntare 15 posti letto usando una parte dell’ospedale vuota. Adesso il reparto è raddoppiato, adesso conosciamo il virus che nella terza ondata è più contagioso di un anno fa e rimane altamente mortale».

Il Covid uccide sempre allo stesso modo? E qual è adesso l’età media dei ricoverati?

«A Rimini la mortalità non è mai stata altissima, nella prima ondata era del 38% adesso va un po’ meglio. Numeri non paragonabili, ad esempio, con gli ospedali della Lombardia dove è stata altissima e, solo per fare un esempio, a New York nella prima ondata è stata dell’80%, praticamente morivano quasi tutti. Certo le cause di morte sono sempre le stesse, ad esempio impossibilità a ventilare i polmoni, trombosi e una serie di altre cause che si sovrappongono come le infezioni. Ricordo che questo virus aggredisce tutti gli organi non solo i polmoni. E l’età media dei ricoverati si è notevolmente abbassata, adesso è attorno ai 60 anni. Ad esempio ci sono due mamme che hanno appena partorito. Le varianti del virus lo hanno reso più aggressivo e si diffonde più facilmente, abbiamo messo in sicurezza gli anziani con il vaccino ma i giovani hanno abbassato la guardia e sono portatori di contagi in famiglia».

Come vivono rispetto a un anno fa medici e infermieri del suo reparto? Hanno ancora ripercussioni psicologiche?

«E’ molto diverso. All’epoca non si sapeva nulla della malattia e questo si traduceva in una enorme paura per tutto quello che si affrontava, si temeva di non farcela, di portare i contagi a casa. Ora conosciamo il virus, tutti sappiamo cosa fare e questo ci garantisce di non fare errori clamorosi. E poi siamo tutti vaccinati , i contagi degli operatori sanitari in Ausl Romagna sono pochissimi, in poche settimane scesi da circa 120 a 2-3 alla settimana e sono tutti asintomatici. Questo significa che siamo tutti più tranquilli nei confronti delle nostre famiglie ma se prima si condivideva una reazione rabbiosa verso il virus e la morte che portava alla solidarietà umana, adesso siamo sfibrati. In qualche modo il personale è meno disponibile a sacrifici. Ed è umano, da un anno lottiamo contro il virus, con congedi limitati: se proprio c’è una necessità importante al massimo si concedono 4 giorni ma la media delle ferie non godute è di 90 giorni, significa che non si va in ferie da tantissimo tempo e la stanchezza è enorme».

Lei va in pensione in piena terza pandemia, un anno dopo rispetto alla scadenza naturale del suo rapporto in Ausl Romagna. Non le spiace abbandonare dopo avere accumulato un bagaglio professionale così importante?

«Sono rimasto un anno in più proprio per il Covid, ma non disperdo nulla. Rimane una squadra allenatissima, di cui sono orgoglioso, giovani con cui ho lavorato e che hanno fatto tantissima formazione nei 5 anni che sono stati con me. Hanno avuto la possibilità di formarsi in qualsiasi campo e in qualsiasi posto volessero. Quando faccio il giro in reparto sono orgoglioso delle cose che sento dire, delle discussioni che sento e di quello che sanno fare».

Le sue strigliate a chi non indossava mascherine sono diventate famose... Ha ricevuto anche molte critiche come se la sua fosse un’ingerenza in un settore che non la riguarda eppure non ha mai mollato. Si continuano a vedere tante persone in giro senza mascherina, se la sente di fare un ultimo appello?

«Mi permetta ma non posso fare appelli agli imbecilli, per recepire un appello ci vuole cervello e chi si comporta così non ne ha. Capisco le difficoltà delle categorie che non possono lavorare ma non capisco l’appello di certi politici che per fare proselitismo danno messaggi fuorvianti: io apro. Ma a cosa? Alla morte? Se fossimo stati attenti nei mesi passati forse non ci ritroveremmo adesso con l’economia in ginocchio. Io sono per il lockdwn, l’ho sempre sostenuto. E se si resta chiusi fino a Pasqua forse ce la faremo, considerando che si sta mettendo in piedi una campagna vaccinale di massa».

Ha mai avuto “No vax” ricoverati in Terapia intensiva?

«Sì, più di uno, del non portare la mascherina ne avevano fatto una “professione”. Le assicuro che hanno cambiato idea, loro e le loro famiglie. Chi ha visto la malattia ne ha avuto paura. Noi sanitari tuttora siamo bardati dalla testa ai piedi, teniamo sempre la mascherina anche in cucina pur se tutti vaccinati».

Lascia la direzione dell’Unità operativa Anestesia e Rianimazione di Rimini a Emiliano Gamberini, dirigente medico della stessa Unità operativa a Cesena, titolare dell’incarico di struttura semplice Terapia intensiva e trattamento traumi Cesena. Come passerà l’ultimo giorno in reparto?

«Come prima cosa passerò le consegne al mio successore. Poi farò il giro del reparto e saluterò uno a uno tutti… ».

Niente festa d’addio ovviamente... diamo una previsione di quando la potrà fare? Quando potremo tornare alla quasi normalità?

«Voglio essere ottimista, diciamo che la festa del mio pensionamento è rinviata a giugno. Se la campagna vaccinale va avanti come ci auguriamo e se le chiusure funzionano all’inizio dell’estate dovremmo farcela. Saremo in tanti più immunizzati e poi arriverà il caldo che, come abbiamo visto la scorsa estate, aiuta… ».

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