Ravenna, la provocazione di Bravura: “Metto un mosaico sul mio capanno, così non lo abbattono più”

Ravenna

Dal suo studio a pochi chilometri da Mosca, dove lavora a una terza Ardea purpurea alta 3 metri e 10, in tutto simile alla fontana collocata in piazza della Resistenza, Marco Bravura, lancia «una provocazione gentile» per un artista che tiene alta la tradizione del mosaico ravennate nel mondo. Guardando fuori dalla finestra la neve, non dimentica le estati passate al mare e il capanno balneare di famiglia tra le dune di Marina di Ravenna. E pensando ai recenti provvedimenti che segneranno la definitiva scomparsa di un modo tutto ravennate di vivere la spiaggia, con la demolizione dei capanni, lancia un’idea. «Mi dispiace che non si sia compresa l’unicità e la valenza positiva dei capanni; senza acredine mi è venuta voglia di ricoprire il mio tetto di mosaico, così diventa davvero un’opera d’arte. Chissà, si potrebbe fare domanda all’Unesco perché venga protetta la memoria storica dei capanni e del territorio».

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La memoria

Elegante, sempre circondato dai materiali che si trasformano in tessere nelle sue mani e danno corpo alla luce, Bravura, affiancato dalla moglie Daniela, raggiunto in videochiamata, ricorda le giornate al mare vissute da bambino con la famiglia, nucleo che si fondeva con altri a creare una comunità solidale, sempre pronta a condividere ogni momento della giornata, per poi a fine stagione smontare il manufatto. «Dagli anni Cinquanta siamo cresciuti lì, sani, perché potevamo godere per lungo tempo del mare, era una gran bella vita. Mia sorella poi lo ha rilevato da mio padre e ne ha continuato la manutenzione. Siamo sempre andati, fino all’anno scorso: poter leggere un buon libro nel silenzio, fronte mare, era una cosa impagabile. Ricordo che nel 1998, mio nipote inviò dalla Grecia una cartolina con il numero del capanno che venne regolarmente recapitata. Ora con la direttiva europea che uniforma i procedimenti delle concessioni in tutti i Paesi vogliono toglierci le specificità e anche la memoria». L’impossibilità di subentro per gli eredi, stabilità già da tempo, sembrava già essere una soluzione, invece l’ingiunzione comunale arrivata a fine gennaio che chiede la demolizione entro il 30 aprile dei capanni per la mancata autorizzazione ad occupare il suolo pubblico, a fronte di concessioni regolarmente pagate, lascia sconcerto e timore di incorrere in sanzioni salate tra i concessionari, riuniti nell’associazione capanni balneari. «Non vogliamo andare contro le norme, ma non credo che diano fastidio e poi siamo tutti anziani ormai, che fretta c’è, bastava aspettare».

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