Nuovo videoclip, nuova denuncia. Trapper lughese e regista nei guai

Ravenna

Un altro videoclip, un’altra denuncia. Stavolta non per istigazione a delinquere, porto d’armi e oggetti atti ad offendere, e oltraggio verso forze dell’ordine, Stato e Giustizia, come gli era stato contestato a inizio anno dopo l’uscita del singolo su Youtube. In questo caso i guai per Amin Bajtit, trapper lughese classe 1996 in arte Paname, sono iniziati già dal making of. Quando, cioè, la Polizia locale lo ha fermato in auto con il regista, trovando nel bagagliaio, tra gli oggetti “di scena”, un lampeggiante simile a quello delle auto d’ordinanza. Tutto sequestrato, con tanto di denuncia sia per il musicista che per il videomaker, contestando a entrambi il “possesso di segni distintivi contraffatti”.

«Eravamo in regola»
Un po’ se lo aspettava Paname. Già nelle settimane precedenti si era ritrovato le pattuglie come “pubblico” imprevisto, appostate esattamente nei luoghi e negli orari scelti per le riprese. Un caso? Secondo Amin no. «Davo appuntamento nelle storie di Instagram agli amici per realizzare il nuovo video, ma sapevamo di dover essere rigorosi con le norme anti covid, autocertificazioni, distanze, luoghi isolati, mascherine, eccetera. Puntualmente trovavamo qualcuno ad attenderci e non se ne andavano finché non faceva buio, così che ogni volta dovevamo rimandare tutto». Per il musicista, che di lavoro fa il pizzaiolo e per girare il video sfruttava i giorni di riposo, tutto si è tradotto in un bel ritardo rispetto alla tabella di marcia, tant’è che «per girare un video di una settimana ci abbiamo messo un mese e mezzo».

I fatti
Poi c’è stato l’ultimo controllo, quello del sequestro. «Ero andato a prendere il videomaker da Ravenna con la mia auto per l’ultima ripresa – continua il racconto – e avevamo caricato tutto l’occorrente nel bagagliaio, anche il lampeggiante, che lui ha comprato legalmente su Amazon e che era ancora impacchettato. A un posto di blocco ci hanno fermato. Il regista si è assunto la responsabilità di quell’acquisto, così siamo stati denunciati in concorso, come se ci volessimo fingere forze dell’ordine. Ma era solo per girare il video».
Del resto, è lecito supporre che anche gli agenti avessero a cuore gli sviluppi della carriera musicale del trapper, quantomeno dopo la denuncia fatta partire mesi addietro vedendo il video di “Cagulé” (cagoule in francese significa passamontagna) circolare in rete, con katane, mazze, pistole («armi giocattolo», assicura Amin) esibite di fronte alla macchina da presa. Anche l’ultimo brano, “La Clika” è ambientato e girato a “Lugo city”. E non fa mistero dell’assonanza con il suono del grilletto di un’arma da fuoco. Tornano gli scenari di un immaginario in stile Bronx, ma in salsa multietnica, il Marocco dove Amin (pur essendo nato in Italia) ha radici o l’Albania, la cui bandiera è sfoggiata da una delle comparse. Il linguaggio è esplicito. Così come ben chiaro è il messaggio finale, conclusi i ringraziamenti, puntando il dito contro le stesse forze dell’ordine, accusate di aver «fatto il possibile per rovinare il progetto».

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