Morte di Giampaolo Pansa: il maestro del giornalismo

Ravenna

RAVENNA. Con la morte di Giampaolo Pansa, una delle grandi firme del giornalismo italiano, spentosi a Roma all'età di 84 anni, se ne va uno scrittore e commentatore di primo piano capace con la sua attività saggistica sulla Resistenza di accendere furiose polemiche. Amato e odiato dalla sinistra, apprezzato e poi scaricato dalla destra per le sue posizioni anti Salvini, Pansa vanta una lunga carriera giornalistica durante la quale ha raccontato i protagonisti della politica italiana con intelligenza, poi tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila riscoprì la sua vena di storico, riprendendo la materia della tesi di laurea sulla Resistenza ma da tutt'altra angolazione. Il primo titolo di grande eco fu "Il Sangue dei vinti" nel quale raccontò fatti avvenuti tra il maggio del 1945 e la fine del 1946 che videro coinvolti alcuni componenti delle forze partigiane. A questo primo volume molti altri ne seguirono contestati a più riprese dalle associazioni partigiane.

Pansa a Ravenna

In città il giornalista fu ospite più volte dove per le ricostruzioni relative alle brigate Garibaldi e al ruolo di Arrigo Boldrini, non mancò di suscitare dure polemiche. Nel 2005 durante la presentazione di un suo volume Pensa disse di Bulow: «Qui ha messo su la Resistenza da solo. Un uomo da rispettare» ma non bastò e ancora oggi il giudizio dell'Anpi ravennate non è cambiato. «Parliamo di luci ed ombre – spiega Ivano Artioli - Pansa era un giornalista che sapeva il mestiere e una voce importante. Ma trattò la materia difficile della lotta di Liberazione per lungo tempo e su posizioni contrapposte. La cosa ci stupì, l'Anpi per le fonti storiche si è avvalsa delle testimonianze dirette e del lavoro degli istituti storici, abbiamo trovato nelle posizioni di Pansa punti non coincidenti con la ricerca storica. Ho conosciuto Pansa negli anni Settanta, ci piaceva molto perché indagava i sentimenti dei patrioti e dei partigiani. La nostra posizione storiografica è attenta e documentata dagli istituti storici, lui non ha mantenuto lo stesso rigore. La nostra fonte è quella della ricerca non quella delle speculazioni finalizzate a scelte contingenti».

Su posizioni meno distanti il segretario comunale del Pri Stefano Ravaglia, ricorda Pansa in più occasioni a Ravenna e provincia. «Nel 1983 lo invitammo alla festa nazionale del Pri, lo rividi in seguito dopo l'uscita del libro “Sangue dei vinti”. Gli mandai un intervento di una signora di Lugo del 1947 che aveva perso impiccati dai nazifascisti il figlio, il marito e il cognato e il libro di Sauro Matterelli su Marino Pascoli. Nel libro successivo "Sconosciuto 1945" presentato a sala Melandri dedicò un capitolo a Pascoli con affermazioni che nessuna sentenza ha mai confermato. Ci siamo sentiti negli anni, era una persona libera, onesta che non si piegava alla massa. Fu etichettato negli ultimi anni come uomo di destra, ma bastò una sua critica a Salvini per perdere la firma su Libero. Certo ha cavalcato troppo gli eccidi del 1945 ma il periodo della guerra civile non ha coinvolto le formazioni repubblicane e per questo abbiamo trovato una vicinanza».

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