Ravenna, quel Festival che segnò una generazione di giovani

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In finale di stagione il circolo Mama’s sceglie di raccontare, questa sera alle 21, una pagina particolare della storia della città attraverso la voce di alcuni dei protagonisti, allora giovani dirigenti della Fgci e del Pci: il Festival nazionale dei giovani del 1976. Quella settimana in cui la città, immersa nella quieta vita di provincia si ritrovò catapultata nelle cronache nazionali, una sorta di laboratorio politico per la sinistra che di lì a poco avrebbe visto esplodere le contraddizioni di un mondo giovanile mosso dalla rabbia e dalla contestazione verso il sistema e il cosiddetto ordine costituito. Migliaia di giovani, le anime movimentiste e poi gli scontri con le forze dell’ordine, i disordini e l’intervento punitivo del servizio di sicurezza interno che allontanò le frange violente, segnarono la città e furono il preludio di una stagione nazionale di violenze e instabilità politica che si aprì di lì a poco, nel 1977. Il senatore Vasco Errani, Carlo Boattini, ex dirigente comunale e Lorenzo Sintini intrecceranno i fili della memoria guidati da Riccardo Zoffoli. Il Pci in quell’anno aveva raggiunto il massimo del suo consenso elettorale e il clima nel Paese era molto teso. Con la festa la Fgci guidata da un giovane Massimo D’Alema, cercava di inserirsi in quel contesto attraverso la musica. Ma dal 24 luglio all’1 agosto non tutto andò come sperato.

Il racconto

«Il nostro sforzo si concentrò nel recupero di un confronto – spiega Boattini, allora segretario locale della Fgci – ma come tanti non avevamo capito ciò che ribolliva nel Paese, se non ci fosse stata quella provocazione saremmo riusciti a gestire il confronto. Avevamo allestito un campeggio a Lido Adriano, e nell’area dell’ex ippodromo c’erano gli spazi per i dibattiti, il cinema, i concerti. Le prime contestazioni sorsero sul biglietto di ingresso, 700 lire a serata, campeggio a 500 lire e proponemmo i maccheroni a 200 lire». Poi durante la festa arrivarono da Umbria jazz gruppi di Autonomia operaia e gli Indiani metropolitani e il clima cambiò. In seguito a una perquisizione all’esterno della festa e a un litigio il 29 giugno un poliziotto esplose due colpi che ferirono due ragazzi, una miccia che accese la rivolta. Un corteo raggiunse il centro città inscenando una guerriglia urbana, con un bus dato alle fiamme.

I disordini

«Fino a quel momento avevamo gestito le contestazioni ma poi ci furono gli spari e la polizia lasciò passare 70 ragazzi. Il Pci polemizzò sulla gestione dell’ordine pubblico. Fino a quel momento c’erano stati espropri proletari in negozi, nei quali ci presentavamo per pagare il dovuto. Dopo fu difficile, ma riuscimmo a chiudere con il comizio finale in piazza Kennedy di D’Alema e Pajetta con 15mila persone». Al ritorno del corteo, nel corso delle cariche delle forze dell’ordine rimase ferito un carabiniere. Ma fu prima dell’alba che il servizio d’ordine del Pci con i portuali affrontò le frange violente smantellando tende e presidi. Al mattino non c’era più traccia dei violenti. «Quei giovani avevano una forte carica di protesta, esprimevano una rottura con la sinistra storica e il movimento operaio. Io avevo 23 anni, ci percepivano come pezzi del sistema, non eravamo abbastanza radicali. Le forze politiche chiesero di sospendere la festa, ma il Pci ci appoggiò. Era una grande scuola e si imparava. Vasco divenne segretario dopo di me che presi la guida della Fgci regionale. Sintini diventò segretario della federazione provinciale». La maggioranza dei ragazzi visse giorni di divertimento tra politica e la musica dei cantautori e delle band del momento, ma la città non ha mai dimenticato quel pomeriggio di luglio del 1976.

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