Ravenna, il Principato autoproclamato voleva una sede in città

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Dall’isola vulcanica che il Mar Rosso si è ripreso e appare secondo le maree a un castello sede diplomatica e di rappresentanza nelle campagne ravennati. Non si spegne l’eco della singolare vicenda del Principato dell’isola di San Bernardino, retto da Nicola Rolando, geometra ravennate, padre del capogruppo della Lega Gianfilippo Rolando, raccontata, di recente, con dovizia di particolari, dalla giornalista Milena Gabanelli nella rubrica online di data journalism Dataroom del Corriere della Sera. Il caso arriva in Consiglio comunale grazie a un question time del consigliere di Fi Alberto Ancarani che, rivolgendosi al sindaco Michele De Pascale, ieri ha chiesto se il consigliere in questione si sia mai prodigato in favore del Principato, come raccontano voci in città, dopo che sul Corriere Romagna, aveva dichiarato la sua estraneità alla vicenda familiare. «Vorrei – ha specificato Ancarani – che non ci fossero dubbi sulla dignità di questa istituzione per sgomberare il campo e sapere se un consigliere ha utilizzato il suo ruolo per interessi propri o del padre o di uno stato straniero non si capisce se amico o meno del nostro».

Quesito a cui il sindaco ha risposto riportando fatti accaduti nel novembre dal 2016 al gennaio 2017. «Ci sono state alcune relazioni con il presunto Principato di San Bernardino in cerca di una sede generale di rappresentanza. I contatti con il rappresentante legale volevano sondare l’eventuale interesse dell’Amministrazione comunale a mettere a disposizione immobili per attività benefiche. Il consigliere Rolando mi fornì documentazione sull’esistenza del Principato, verificai l’ipotesi di un immobile sito della zona sud al confine con il comune di Cervia. Dal 27 gennaio 2017 non ci sono stati più contatti e non vi fu nessuna istanza formale, né solleciti né alcun interesse del Comune di Ravenna». Pensando alla zona indicata dal sindaco, il pensiero corre subito a palazzo Grossi di Castiglione, residenza fortificata costruita nel 1565 da Jacopo da Cannobio per il nobile Pietro Grossi. Una risposta che permette l’affondo di Ancarani; il consigliere si chiede «chi menta sulla vicenda. Qualora non sia il sindaco, vuol dire che qualcuno ha fatto il consigliere comunale per interessi privati che vanno oltre la collettività, questo è un problema per l’intera istituzione comunale. Tutti noi meritiamo di essere specchiati sugli interessi che rappresentiamo».

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