Coppedè, un eclettico Gaudì italiano

 

RIMINI. È un angolo di “grande bellezza” quello in mostra a Rimini, nei bellissimi spazi di Castel Sismondo, dove, al primo piano, sono esposte le tavole dell’architetto Adolfo Coppedè nella mostra Un architetto nel secolo d’oro della borghesia, curata da Tommaso Strinati nell’ambito della Biennale del disegno, il ricco percorso che fino all’8 giugno esplora, nei luoghi più importanti della città malatestiana, il mondo di questa disciplina a 360 gradi.

Lo stesso Coppedè definibile come «il Gaudì italiano», al vertice del cosiddetto “gusto eclettico”, testimone nel mondo di un marchio irripetibile, ultimogenito di quella famiglia fiorentina che fu prediletta dalla borghesia romana ma che, all’inizio del secolo scorso, stupì il mondo intero con arredi, palazzi e architetture.

Figlio di un abile artigiano fiorentino, Mariano Coppedè, fratello del geniale Gino Coppedè, parte di quella “casa artistica” che prediligeva lo studio di tutte le arti dove era curata ogni manifestazione del bello, Adolfo è qui presentato per la prima volta al pubblico attraverso un considerevole numero di disegni che rivelano la sua inconsueta rilevanza artistica, tra palazzi celebri e architetture mai realizzate, come l’isola in mezzo al Tevere concepita a forma di nave con tanto di giganteschi remi ad arredarne le fiancate.

Ed è un po’ come passare per piazza Mincio a Roma, tappa obbligata per concedersi una sorsata di Coppedè.

Ci si ritrova proprio nel quartiere omonimo, un posto fuori dal mondo, scandito da un’architettura liberty, ma anche decò, a tratti neogotica, che sfocia nel Barocco, nell’eccesso, in un’estetica volutamente provocatoria.

Un villaggio di palazzine gremite di balconi e torrette, di bifore e fregi, di fontane e lampadari di ferro battuto, scelti per arredare i marciapiedi oltre che i salotti. Un quartiere la cui atmosfera fiabesca sprigiona una forza suggestiva intensa e un senso di appagamento estetico totalizzante.

La fama dei Coppedè è certamente dovuta al quartiere cui si è legato il cognome di questi architetti, anche se fu Gino il primo a concepire l’estrosità del quartiere romano, poi divenuto marchio di fabbrica volutamente riprodotto successivamente dal fratello Adolfo che rimase il solo creativo di famiglia quando Gino morì.

E se «nei primi anni del XX secolo si fronteggiarono in Europa due visioni antitetiche dell’arte: l’asciuttezza strutturale e matematica contro la fioritura ramificata della decorazione; il rigore contro l’asimmetria»; e se «il Déco e il Liberty, ma anche la fantasia geometrica della Secessione viennese, dovettero cedere il passo al razionalismo, al cemento armato e alla pianificazione modulare delle unità abitative», il marchio Coppedè ha certamente restituito all’ornamento la giusta collocazione estetica, quando è frutto di coraggio e fecondità.

Come si coglie nei disegni in mostra a Rimini che raccontano l’abilità di Adolfo la cui percezione decorativa acquista sempre più peso fino a sconvolgere le strutture architettoniche trasformate in vere e proprie sculture al limite della tridimensionalità.

Le opere esposte provengono dal Fondo Baratti che di Gino e Adolfo Coppedè ha raccolto circa 3000 disegni, non solo uno straordinario giacimento di idee, progetti e memorie uscito da un glorioso studio di architettura, ma anche un prezioso spaccato di storia dell’arte italiana.

www.biennaledisegnorimini.it

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