Piero della Francesca, indagine su un mito

Rimini

È il 1439 e nel capoluogo toscano si tiene il Concilio di Firenze: papa Martino V e l’imperatore Bizantino sono impegnati a riunificare le chiese di Oriente e Occidente. In città sfilano imperatori e dignitari bizantini, personaggi illustri dalle vesti e sembianze esotiche che non passano inosservate agli artisti del tempo, tanto che alcuni storici dell’arte mettono in diretto rapporto la cultura neoplatonica bizantina in Occidente e il Rinascimento italiano.
Fatto è che dei dignitari bizantini sono sullo sfondo di quella che alcuni ritengono la prima opera pervenutaci di Piero della Francesca, il Battesimo di Cristo (National Gallery, Londra).
Fatto è che proprio in quei giorni sappiamo che Piero della Francesca è a Firenze, giovane allievo di Domenico Veneziano chiamato a realizzare nella chiesa di Sant’Egidio un ciclo di affreschi sulle Storie di Maria.

IL PERCORSO ARTISTICO
Nasce da qui, da una Firenze affollata dal Concilio, dalla pittura chiara e luminosa del Veneziano, dal realismo e dalla plasticità che pervade gli affreschi di Masaccio, dalla luce intensa che accende le tavole di Beato Angelico, il percorso artistico del pittore di San Sepolcro che influenzerà nel profondo la pittura rinascimentale. Un artista che sarà oscurato da coloro che vennero dopo di lui – Leonardo, Raffaello e Michelangelo –, tanto che si dovrà attendere la riscoperta sette e ottocentesca dei Preraffaelliti perché gli storici dell’arte ritornino a guardare e ad apprezzare le opere del maestro di Sansepolcro, ma che nel Novecento viene consacrato definitivamente a quel ruolo di primo piano che gli compete nello sviluppo della pittura italiana moderna.

L’OMAGGIO DI FORLÌ
A seicento anni dalla nascita, data incerta identificata tra il 1416 e il 1417, Forlì è pronta per dedicare al maestro una grande mostra dal titolo Piero della Francesca. Indagine su un mito, dal 13 febbraio ai Musei di San Domenico, organizzata dalla Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì con la direzione generale di Gianfranco Brunelli e un comitato scientifico presieduto dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci. La mostra esplora minuziosamente lo straordinario percorso dell’artista toscano attraverso una strada inedita ma anche una formula consueta per Forlì, che raccoglie tante opere in un unicum, tante mostre in una sola mostra. Una vera e propria sfida che parte da alcuni capolavori di Piero e dai suoi contemporanei come Beato Angelico, per ritrovarne poi l’influenza nei secoli successivi fino agli echi suggestivi della sua arte nelle opere attuali di Balthus o addirittura di Edward Hopper.

CHI ERA
Di Piero non si conosce tutto, si sa che era amato dai mecenati del Rinascimento: Leonardo d’Este, Sigismondo Malatesta ma soprattutto i Duchi di Urbino – senza scordare papa Pio II che lo chiama a Roma nel 1458 –, tutti desideravano un affresco e un ritratto del maestro. Il pittore di San Sepolcro viveva celebrato per i suoi talenti, alternando soggiorni presso le principali corti d’Italia, spostandosi tra le città più importanti, in un’età in cui arte e scienza erano unite da vincoli profondi.

IL SOGGIORNO RIMINESE
Nel 1451 è a Rimini per realizzare l’affresco raffigurante Sigismondo Pandolfo Malatesta in adorazione di San Sigismondo all’interno del Tempio Malatestiano. È il suo lascito alla Romagna. Ma non solo: del Signore di Rimini Piero realizzò probabilmente sempre in quell’anno un magnifico ritratto, simile a quello celeberrimo del Duca di Urbino. La tavola dipinta a olio e tempera (44,5 x 34,5 cm) è oggi tra i quadri di maggior rilievo del Museo Louvre di Parigi. L'opera si trova in Francia dal 1978, tramite acquisto sul mercato antiquario italiano.
A Rimini Piero probabilmente conobbe Leon Battista Alberti, impegnato al cantiere del Tempio Malatestiano, e da qui si spostò poi ad Ancona, Pesaro e Bologna.
La sua presenza è documentata di nuovo a Rimini nel 1482, qundo prese in affitto un'abitazione e attese alla scrittura del “Libellus de quinque corporibus regularibus”, terminato nel 1485 e dedicato a Guidobaldo da Montefeltro.

DA SAN SEPOLCRO A URBINO
Del resto San Sepolcro – paese natale dove Piero torna spesso anche perché i suoi concittadini gli commissionano opere monumentali come il grande Polittico della misericordia (Museo Civico Sansepolcro) al quale l’artista lavorerà in modo discontinuo – non è molto lontano.

A Monterchi è invece conservata la celebre Madonna del parto, l’affresco che consegna alla simmetria la costruzione in cui i due angeli che tengono discosti i lembi del tendone sono stati dipinti sulla base di un medesimo cartone rovesciato, mentre la giovane donna dallo sguardo fiero sembra emergere dal sipario. Un capolavoro che ha ispirato diverse scene del cinema fra cui un giovane Alain Delon che nel film di Valerio Zurlini ambientato e girato a Rimini La prima notte di quiete (1972) conquista Vanina (Sonia Petrova) descrivendole il dipinto.

La mostra forlivese – i cui contenuti non sono ancora stati interamente svelati – ripercorrerà la geografia dove Piero operò, da Ferrara a Roma, da Bologna a Perugia, da Firenze a Urbino: qui arriva negli anni Sessanta, convocato dal Duca Federico da Montefeltro. Piero è considerato a buon diritto uno dei protagonisti e promotori della cultura urbinate e proprio qui il suo stile raggiunge un perfetto equilibrio tra l’opera monumentale e l’uso rigoroso delle regole geometriche, consegnando ai posteri opere meravigliose: come il celebre dittico con i ritratti a olio dei duchi, Federico e la moglie Battista Sforza (Uffizi) ritratti di profilo in primo piano, sul cui sfondo paiono muoversi paesaggi, carri allegorici e imbarcazioni, da cui emerge l’influenza della pittura fiamminga. Sempre a Urbino realizza la celebre Flagellazione, vera e propria summa delle sue indagini sulla prospettiva, e le maestose Madonna di Senigallia e Pala di Brera.

IL FURTO
La Flagellazione e la Madonna di Senigallia (insieme alla Muta di Raffaello) furono protagoniste, nel 1975, di un clamoroso furto dal Palazzo Ducale di Urbino, e di un altrettanto clamoroso ritrovamento in Svizzera grazie all’intervento dell’antiquario riminese Maurizio Balena.


IL POLITTICO DELLA MISERICORDIA
È il 1445 quando Piero riceve dalla Confraternita della Misericordia di San Sepolcro la commissione di un polittico per l’altare della loro chiesa. Ci vollero 15 anni per finire le 15 tavole. Si può dire che la mostra di Forlì parta da qui, con un confronto tra la Madonna della Misericordia e il ritratto di Silvana Cenni realizzato da Felice Casorati, un accostamento che dà conto degli scritti di Bernard Berenson e Roberto Longhi che – nel secolo scorso – hanno dato vita al mito moderno di Piero.

I CAPOLAVORI
Il percorso continuerà con una carrellata di capolavori: di Piero della Francesca ci saranno la tavola San Girolamo e un devoto, (1440-1450) prestata dall’Accademia di Venezia e la Madonna di Senigallia dalla Galleria Nazionale delle Marche, già ospite a Forlì in occasione della mostra su Melozzo, documento della sperimentazione tecnica nel passaggio tra la pittura a tempera e quella a olio, che testimonia l’influenza su Piero della pittura fiamminga.
Si proseguirà con l’indagine sul Quattrocento fiorentino che influenzò la pittura di Piero: da Domenico Veneziano a Paolo Uccello, da Andrea del Castagno al Beato Angelico – di cui in mostra vi sarà l’Imposizione del nome al Battista, proveniente dal Museo di San Marco di Firenze, accanto alle due tavole custodite dalla Pinacoteca di Forlì, la Preghiera nell’orto e la Natività – per raccontare l’incanto del Rinascimento.
E ancora, di Cristoforo da Lendinara la Madonna con bambino della seconda metà del ’400 (Banca Popolare dell’Emilia-Romagna di Modena), e di Francesco Benaglio la Madonna adorante il Bambino, ultimo quarto del XV secolo, un olio su tavola dal Museo Correr di Venezia.

L’INFLUENZA SUI FIAMMINGHI
Daranno conto dell’influenza su Piero dei fiamminghi gli affreschi del portoghese Giovanni di Consalvo, nei quali l’esattezza della costruzione prospettica convive con un’inedita attenzione per le luci e le ombre.

PIERO E I VENEZIANI
Per i curatori sono le opere di Giovanni Bellini e Antonello da Messina a mostrare come l’importanza della sua opera sia colta anche a Venezia: dai Musei Vaticani il prestito del Compianto di Giovanni Bellini (1473-1476) che sarà accanto alla Pietà del secolo XV, la tempera su tavola del Museo della Città di Rimini.
Per quel che riguarda Roma, sono invece Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano a legarsi a Piero.

LA RISCOPERTA OTTOCENTESCA
La riscoperta ottocentesca di Piero della Francesca è affidata a importanti testimonianze: dai disegni di Ramboux alle straordinarie copie a grandezza naturale del ciclo di Arezzo eseguite da Charles Loyeux. Anche in Degas, di cui c’è un’opera in mostra, ci sarebbe l’esatta pittura degli affreschi di Arezzo come in Signac e Georges Seurat, di cui in mostra il quadro Poseuse de profil (1887) proveniente dal Musée d’Orsay di Parigi. E ancora Puvis de Chavannes, Odilon Redon e, soprattutto, le vedute geometriche di Cézanne.

IL NOVECENTO
Nel Novecento si entra con l’omaggio a Piero dalla Madonna di Senigallia di Pio Semeghini del 1920 e la riscoperta novecentesca dell’artista è raccontata confrontando diversi autori tra cui gli italiani Massimo Campigli – in mostra Le cucitrici del 1925, un bellissimo olio dal Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo – fino alle nature morte di Giorgio Morandi. E poi Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi, Cavalli, Ferrazzi, Sironi accanto a fondamentali artisti stranieri come Balthus – di cui in mostra I giocatori di carte (1966-1973), prestato dal Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam – e Edward Hopper che hanno consegnato l’eredità di Piero alla piena e universale modernità. 

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