Il docente: "A Ravenna nella campagna elettorale è mancata la politica"

Ravenna

RAVENNA - Finisce in sordina, un po’ come è cominciata, la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale e l’elezione del sindaco. Complice l’emergenza sanitaria, l’estate di mezzo che non fa rima con impegno, molto si è mosso ma poco si è visto: 11 candidati sindaco, 30 liste hanno garantito la quantità delle proposte più che qualità dell’elaborazione politica. Niente confronti tra sfidanti, fazioni contrapposte in campo, grandi scelte da difendere, tormentoni, voci fuori dal coro, feste di popolo, l’intero repertorio elettorale è svanito per far posto a centinaia di voci a sostegno degli 11 candidati sindaci, capaci di produrre una comunicazione frammentaria, spesso di impronta individuale, a tratti indistinguibile nella proposta se non per grandi aree di appartenenza. Il ravennate Andrea Baravelli, docente di Storia della comunicazione politica e di Storia contemporanea all’università di Ferrara commenta l’anomala stagione, priva di acuti e di visione futura.

«Mi è parsa una campagna sottotono poco partecipata dai cittadini, temo non sia successo nulla che aiuti a ricordare l’appuntamento con le urne di domenica. L’unico dato rilevante è che il centrodestra non ha presentato una candidatura unitaria, quanto alle civiche ne misureremo la forza, ma temo non sarà gran cosa. Lo stesso si dica per la rilevanza dei tre partiti di sinistra. Ho visto la necessità per molti di intercettare nicchie, vere o proprie bolle più che interessi generali». Una dinamica che Baravelli rimanda alla crisi dei partiti e all’evoluzione della rappresentanza. «Ciò che fa rumore è l’assenza della politica, giustificabile in parte con il Covid e la campagna elettorale estiva, ma ciò che spicca è soprattutto la carenza di progettualità e la scarsa capacità di coinvolgere i cittadini elettori». E ancora: «La legge elettorale permette l’affermazione consistente di movimenti, che possono avere un ruolo fondamentale nel rappresentare le istanze dei cittadini, funzionare da pungoli. C’è da chiedersi perché a Ravenna si gioca a non esserci. Un numero così alto di candidati crea solo imbarazzo. Non vorrei che la politica ricercasse la rappresentanza degli interessi più stretti per somma algebrica, tra famigliari e amici». La presenza di un candidato al consiglio comunale ogni 150 abitanti su un totale di 32 seggi rischia di produrre un effetto non voluto che Baravelli identifica nell’aumento dell’astensionismo. «Non voglio fare la Cassandra, sarà necessario andare a guardare il numero dei votanti e non già la percentuale sui voti espressi per capire il messaggio lanciato dagli elettori. Non è stato facile distinguere il racconto semplificato del progetto dei candidati sindaco per i prossimi 5 anni».

Mai come in questa tornata il forese ha assorbito le attenzioni dei candidati in una spasmodica corsa al consenso, casa per casa, mercato per mercato. Nessuno prima aveva mai marcato così tanto l’importanza del voto di chi vive fuori Ravenna, rispetto a chi vive in città. Un esercizio che di fatto ha mostrato un corpo sociale suddiviso in due entità alternative nelle legittime aspirazioni e nelle esigenze. «Il forese è sempre stato una sorta di riserva di caccia – conclude Baravelli - nel tempo è stato investito da trasformazioni sociali che ne hanno alterato la composizione. Un tempo bastava intercettare una rete di relazioni, anche solo una persona, motore della vita sociale e politica di una frazione. Adesso non è più così. Esiste un voto di opinione svincolato dall’appartenenza, quindi bisogna andare dagli elettori e convincerli».

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