Di nuovo positiva al coronavirus. "Spaventa rischio nuovi focolai"

RAVENNA. Un caso unico nel nostro territorio, quello della 29enne ravennate ricoverata due volte perché positiva al coronavirus, poi dimessa con due tamponi negativi e infine risultata nuovamente positiva. La sua odissea clinica - raccontata dal Corriere Romagna - si aggiunge a quelle “anomalie” emerse a macchia di leopardo in più parti dello Stivale. Con il passaggio dal lockdown alla riapertura delle attività, questo imprevisto mette sull’attenti l’Ausl, già a conoscenza degli «strani comportamenti» del virus. Così Raffaella Angelini, direttrice del Dipartimento di Sanità Pubblica, mette in chiaro quel che ci aspetta: di fronte a una malattia sulla quale «non conosciamo ancora abbastanza», le certezze riguardano i cittadini e il modo in cui dovrebbero tornare alla quotidianità. Se la riapertura è fondamentale, altrettanto lo saranno distanza sociale e norme igieniche.

Dottoressa Angelini, le risulta ci siano altri casi come quello della 29enne nel nostro territorio?
«Proprio come questo no. Certo è che siamo abituati ai comportamenti più vari di questa malattia».

Tipo?
«Per esempio, parlando di negativizzazioni, ci capita spesso che un tampone risulti negativo, poi positivo e successivamente torni ad essere negativo. È una situazione ricorrente, e per questo sono tenuti d’occhio i casi in cui la positività al virus viene meno, ma in sintomi permangono».

Può dipendere dall’affidabilità “altalenante” dei tamponi?
«Per i tamponi è noto che l’ “affidabilità”, come dice lei, non superi il 75%. Ma qui è in ballo l’andamento del virus. Il tampone è uno strumento che preleva un campione dal nasofaringe che viene poi analizzato cercando nelle secrezioni l’rna del virus. Se la carica virale è bassa la positività potrebbe sfuggire, pur continuando il paziente a esserlo».

Se una persona che si ritiene guarita potrebbe non esserlo del tutto, il rischio di ricadute o di nuovi contagi sembrerebbe alto…
«Sono tematiche scientifiche aperte. Per esempio si stanno cercando spiegazioni per i casi di positività molto lunghe. Ma anche per quanto riguarda la durata del contagio non sappiamo se dopo 20 giorni di malattia una persona è ancora contagiosa. Non abbiamo nemmeno certezze sulla possibilità di ricadute».

Allora passare a una “fase 2” ora non è una scelta avventata?
«Il rischio di nuovi focolai epidemici, anche estesi, fa paura a tutti. Per quanto riguarda l’azienda sanitaria siamo molto cauti. Ora che stiamo andando verso la riduzione delle misure restrittive, bisogna essere rigorosi sull’isolamento dei casi sospetti. Non sappiamo ancora chi potrà uscire, se tutti o solo alcuni. Governo e regione stanno affrontando il tema delle regole di vita sociale per evitare ricadute».

Secondo lei quanto è alto il rischio di tornare indietro a un mese fa?
«È chiaro che nel momento in cui le persone ricominciano a circolare sale il rischio di diffusione del virus. Siamo riusciti a ridurre i contagi ai contatti familiari o in ambito lavorativo. Per abbattere i focolai domestici ora proponiamo ai nuovi positivi l’albergo e non il domicilio. Consideriamo che anche la sanità ne ha fatta di strada in poco tempo dal punto di vista delle terapie, della logistica e delle strategie. Questo ci pone in una posizione diversa da quella di poche settimane fa».

Si dice che dovremo abituarci a convivere con il virus, che arriveremo all’immunità di gregge. Ma tra ricadute e casi come quello della 29enne tornata positiva, ci sono altri scenari?
«È presto per parlare di immunità di gregge, e chi lo fa attinge da conoscenze di altre malattie. Non sappiamo quanta parte di popolazione ha sviluppato anticorpi contro il virus. Si comincia ora a fare indagini sierologiche. Non sappiamo nemmeno quanto gli anticorpi possono essere protettivi. Certo, anche per il coronavirus è presumibile pensare che si arriverà a un’immunità di gregge, ma è una malattia che conosciamo da non più di tre mesi».

E a fine anno, che di mesi ne saranno passati 10, a quale “fase” saremo?
«Auspichiamo che in tempi ragionevoli sia pronto un vaccino. Ma oggi non possiamo prevedere nulla. Abbiamo vissuto un inizio in cui il virus si è diffuso ancora prima che venisse riconosciuto, poi c’è stato il lockdown, in cui abbiamo falsato la sua normale diffusione. Ora con la riapertura dobbiamo capire quanto le persone saranno capaci di continuare a rispettare quelle misure che ripetiamo da settimane, la distanza sociale, il lavaggio delle mani, l’igiene respiratoria, che restano fondamentali. A che punto saremo a fine anno? Non sappiamo nemmeno che cosa succederà d’estate, e come reagirà il virus. Ci sono troppe variabili per poter fare una razionale previsione».

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