Il coronavirus nei racconti dei ravennati in Europa

RAVENNA. Vivono all’estero per lavoro, studio, amore. E dai Paesi che li ospitano, i ravennati fuori confine hanno visto un’Italia diventare un caso pilota nell’affrontare l’emergenza coronavirus e un’Europa con strategie molto diverse.

Inghilterra
A partire dal premier inglese Boris Johnson che tira dritto incurante degli allarmi. A confermarlo, preoccupato, è Fabrizio Cellini che lavora come architetto a Londra. «In tv – racconta – ha detto che ogni cittadino si dovrà abituare all’idea di perdere qualche suo caro. Una frase agghiacciante. Gli inglesi vanno avanti con grande cinismo e con l’idea dominante che il business viene prima di tutto. Seguo l’evoluzione in Italia e sono preoccupato. Per andare al lavoro uso lo scooter, evito i mezzi pubblici e in ufficio siamo pochi e ben distanziati. Nel nostro studio si è compreso il rischio. Nessuno usa la metro e chi può lavora da casa». Ma la vita nella City prosegue quasi normalmente tra pub aperti e parchi affollati: «Solo recentemente il Governo ha detto ai cittadini anziani di rimanere in casa, per qualche mese, perché per loro il virus può essere pericoloso. Ma non è una quarantena come in Italia. Ognuno può fare quello che vuole. A Londra ci sono pochi posti letto negli ospedali; chi prenderà il virus dovrà cavarsela quasi da solo. Nei supermercati stanno andando a ruba i medicinali. Rimanere qui è un azzardo, ma ormai anche se volessi tornare in Italia non ci sono i voli».

Irlanda
Nella vicina Irlanda l’approccio è diverso: «Anche se i numeri sono ancora limitati, in tutta l’isola si contano circa 100 contagi, il Governo sta prendendo decisioni sempre più in linea con quelle delle autorità italiane – racconta Nicola Giannotti, docente all’University College Dublin in Imaging Diagnostico –. In questo periodo le università sono chiuse per un paio di settimane e mi sto attrezzando per riprendere le lezioni in modalità on line. La preoccupazione è iniziata a montare la scorsa settimana e il Governo è stato molto veloce nel decidere di chiudere le scuole. L’Irlanda ha copiato le misure italiane e spero si possa rivelare una scelta vincente per contenere il virus». Anche la festa di San Patrizio del 17 marzo è stata cancellata: «In queste ore si è anche deciso di chiudere i ristoranti e i pub, che in Irlanda sono un ritrovo sociale molto importante. Fino a fine marzo chiudono circa 7mila pub, in cui lavorano 50mila persone. Si sta diffondendo molto anche lo smart working».

Francia
Stefano da Parigi racconta che, in vista dei provvedimenti annunciati, è andato a comprare pasta e scorte e si è trasferito a casa della sua ragazza, francese. Dice che «molti parigini si stanno trasferendo in campagna. Per la prima volta ci sono lunghe file fuori dai supermercati, in alcuni casi entrate limitate».
Sempre a Parigi vive Gianluca Ciatto che lavora come ricercatore. Fino a qualche giorno fa osservava un'Italia che si ammalava e si metteva in quarantena e una Francia che percepiva questi avvenimenti come qualcosa di paradossalmente ancora molto lontano. «Ma anche qui i contagi si erano già diffusi seppur con un po' di tempo di ritardo e di conseguenza numeri inizialmente inferiori. Nell'istituto della mia compagna, per esempio, con quattro casi dichiarati, tra cui uno grave, fino a venerdì hanno continuato a lavorare. Ora finalmente è stato chiuso e anche il mio laboratorio. Entrambi lavoriamo da casa». Oltralpe però l'esperienza italiana sembra essere stata quasi ignorata. «Fino all'altra sera, prima che il primo ministro comunicasse la chiusura di tutti i locali non essenziali, nel bar sotto casa sembrava che fosse tutto normale. Gente che beveva gomito a gomito e feste studentesche anche in mezzo alla strada, quando già si ventilava una quarantena come da noi e un divieto di assembramenti era stato già emanato. Ho anche avvertito le autorità comunali di quanto accaduto. Mi sembrava incredibile. Come anche mantenere aperto il primo turno delle elezioni municipali domenica, dando in questa maniera un messaggio controverso alla nazione». Ora tutto è cambiato: «Da ieri sera anche qui le attività non essenziali, come i bar e i ristoranti, sono state chiuse oltre alle scuole e alle università, e ieri sera ha annunciato provvedimenti ancora più forti. Mascherine e gel disinfettanti sono ormai diventati introvabili».

Germania
In Germania i vari territori procedono in autonomia. Giovanna Morigi insegna fisica all’Università della Saarland nella città di Saarbrücken, non distante dai confini con la Francia e il Lussemburgo: «La diffusione del virus inizia a fare paura anche da noi – spiega –. In queste ore hanno deciso di chiudere gli atenei, mentre le scuole erano già state fermate. Sia io che mio marito lavoriamo all’Università e da oggi proseguiremo da casa. In Germania guardano con attenzione a quanto sta avvenendo in Italia. Prima si osservava il nostro paese come se fosse lontano, poi si è capito che anche la Germania non era immune». Giovanna Morigi racconta che la situazione è in rapida evoluzione: «Anche qui c’è stata una corsa, anche se moderata, ai supermercati ed è finita la carta igienica – sorride –; ora la sanità si sta preparando».

Spagna
Giovanni Brusi lavora invece come analista marketing a Barcellona e racconta che gli spagnoli hanno iniziato a prendere qualche contromisura da sabato scorso. «Sono stati chiusi bar e ristoranti – dice –, ma non hanno impedito alla gente di andare al lavoro e sono rimbalzate foto sui social di molte persone alle fermate della metropolitana. Anche negli uffici la vita è proseguita più o meno normalmente. Credo non ci sia ancora bene la percezione di come la situazione potrebbe evolvere. A livello personale ho iniziato a prendere precauzioni, lavoro da casa ed esco il meno possibile».

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