Cesena. Il giallo di Cristina: un mistero irrisolto che dura da 31 anni

Sono passati 31 anni dal giorno in cui Cristina Golinucci da Ronta scomparve nel nulla. Ed ancora oggi l’indagine sul suo caso è aperta e non ha indagati o presunti “colpevoli” da portare davanti ad un giudice. Questo malgrado le tante inchieste aperte e richiuse negli anni; e malgrado la tenacia dei parenti (leggi l'intervista alla madre) dell’allora giovane donna che non hanno mai smesso di cercare la verità e di spronare inquirenti ed investigatori nel cercare di smascherarla.
L’1 settembre 1992 la giovane, originaria di Ronta, aveva 21 anni quando scomparve nei pressi del convento dei Cappuccini, a Cesena. Lì aveva appuntamento con il suo padre confessore. Nel parcheggio adiacente il convento venne ritrovata la sua Fiat 500, ma di lei non si seppe più nulla.
L’oblio
In tutti questi anni, la mamma Marisa Degli Angeli (fino al 2001 insieme al marito Giovanni Golinucci) e la sorella maggiore Stefania hanno sempre lottato per spiegare che Cristina non poteva essersi allontanata spontaneamente. Che qualcuno le aveva fatto del male e che andava cercato un cadavere assassinato. Una lotta per Cristina che nel tempo mamma Marisa ha trasformato in una battaglia per tutte le persone scomparse d’Italia, diventando capofila dell’associazione Penelope che, tra i successi ottenuti, ha avuto anche quello del varo di una legge per creare una banca dati col Dna degli scomparsi. Utile per identificazione di corpi senza vita ritrovati dopo tanto tempo o anche in condizioni tali da non poter essere identificati in maniera differente se non confrontando le impronte genetiche.
Il convento e il primo sospettato
Per la scomparsa di Cristina, negli anni i rapporti con il convento dei frati cappuccini, dove si sono perse le tracce della ragazza, sono frequentemente stati anche di tensione. Per la presenza al suo interno (come ospite) di quello che la famiglia Golinucci ha sempre ritenuto poter essere il responsabile principale della morte di Cristina: il sudafricano Manuel Boke. Ma anche per i tentativi, soprattutto all’inizio della storia, dei famigliari di cercare tracce fisiche della ragazza. Che si scontravano con la riservatezza del chiostro, della vita conventuale e di chi gestiva quelle mura sacre in quel momento.
Si torna a cercare
Dopo le prime indagini andate a vuoto negli anni più a ridosso della sparizione, il 12 agosto 1997 Oscar Ghetti, allora capo squadra mobile di Forlì, procedette con molte forze al seguito ad un sopralluogo dettagliato del convento. Quello era un sopralluogo in relazione al procedimento contro Emanuel Boke: l’ospite del convento in cima alla lista dei sospettati di mamma Marisa, che all’epoca scontava una condanna in cella per stupro di una ragazza cesenate. Un’inchiesta che non potrò a novità sostanziali sulla figura di Boke che anzi, una volta scontata la pena detentiva per il reato di violenza sessuale, fece perdere le sue tracce ripiegando in Francia. Da allora che di lui nessuno ha mai più saputo nulla.
Georadar
Le forze dell’ordine avevano ormai setacciato ogni angolo del convento. Ma con il passare degli anni e il progredire delle tecnologie a disposizione degli investigatori, sopralluoghi ed inchieste hanno continuato ad aprirsi e a richiudersi. Ad esempio, il 7 dicembre 2004 il Commissariato della Polizia di Stato di Cesena ha proceduto alla perquisizione di un locale di servizio del convento. Dopo aver eseguito l’abbattimento di una parete in mattoni, la perquisizione ha riguardato una fossa settica. La tesi era che Cristina potesse essere stata uccisa e murata all’interno di uno scarico. Ma anche in questo caso non emersero tracce.
Il secondo sospettato
Una virata decisa nelle indagini, ad allontanarsi dalla figura di Emanuel Boke, la si ebbe nel 2010 con una nuova apertura delle indagini il 25 maggio di quell’anno, quando venne effettuato un altro sopralluogo in tutti gli spazi utilizzando la tecnologia “Georadar”, messa a disposizione della Polizia scientifica di Roma. Per giorni la polizia scandagliò tutti i terreni circostanti ed il sottosuolo all’interno del convento. Tracce di Cristina non ne emersero. Ma nelle sue conclusioni finali con richiesta di archiviazione, il pm Alessandro Mancini parlò, riferendosi non alle ricerche ma a tanti nuovi interrogatori svolti, di una Cesena sconosciuta ai più. Fatta di intrighi e storie “inconfessabili” emerse intrecciando i racconti del 1992 fatti da tante persone che gravitavano attorno al convento e agli ambienti religiosi e dell’associazionismo.
L’attuale indagine
È la base da cui è ripartita l’ultima inchiesta, quella coordinata dal procuratore capo Maria Teresa Cameli e dal pm Laura Brunelli. Un fascicolo contro ignoti aperto i primi gironi di febbraio 2023 che associa la figura di Cristina Golinucci a quella di un’altra ragazza cesenate, Chiara Bolognesi. Una 18enne trovata morta nelle acque del Savio nell’ottobre del 1992, un mese dopo circa la scomparsa di Cristina, e della quale si è sempre ipotizzato nel tempo che fosse morta suicida.
Il mostro insospettabile
La nuova tesi che viene scandagliata da molti mesi è che invece le vite di Chiara e di Cristina fossero legate dal filo invisibile di un unico mostro. Che potrebbe averne abusato e che poi potrebbe averle uccise per eliminare ogni traccia. Un cesenate da sempre attivo nel mondo del volontariato e dell’associazionismo cattolico. Nella parrocchia dove sia Cristina che Chiara frequentavano a Cesena ed all’intero della stessa associazione di volontari ospedalieri (l’Avo).
Ricerche e attesa
Nessuno è mai stato iscritto nel registro degli indagati ma l’indagato “virtuale” vive e lavora ancora a Cesena. Per cercare tracce di un suo coinvolgimento nella vicenda delle due giovani morte è stata anche riesumata la salma di Chiara Bolognesi, il cui studio è stato affidato alla patologa bolognese Donatella Fedeli. Sono state interrogate tante persone, tra cui una madre la cui figlia ha subito violenze da un cesenate, senza averle mai denunciate per paura di non essere creduta.
Il georadar e i sommozzatori sono tornati a setacciare l’area attorno al convento dei Cappuccini. Allungandosi fino ad una villa seicentesca collocata alle spalle del convento, dove sono stati verificati anche i posti scavati all’esterno del giardino e parte dell’edificio pericolante per cercare tracce di Cristina Golinucci. Un’indagine formalmente ancora aperta. Ma che a 31 anni dalla scomparsa della giovane di Ronta non ha portato ancora a puntare il dito contro alcun ipotetico colpevole.