Ravenna, cento anni fa i fascisti uccisero don Minzoni

RAVENNA - Sarà il presidente della Cei, il cardinal Matteo Maria Zuppi a presiedere oggi la messa per il centenario della morte di don Giovanni Minzoni alle 18 alla Collegiata di San Nicolò ad Argenta, con l’arcivescovo di Ravenna Lorenzo Ghizzoni e i vescovi di Ferrara, di Forlì e San Marino. Un momento importante per ricordare il sacerdote martire, per il quale la diocesi di Ravenna, la parrocchia di Argenta, l’Agesci, il Masci e gli Scout d’Europa hanno avviato la causa di beatificazione. Al termine della messa verrà annunciata la data di apertura dell’inchiesta diocesana, primo atto del processo di canonizzazione, che avverrà in ottobre a Ravenna.
Un interesse che rende onore a una figura ancora oggi indagata sul piano storico per alto spessore civile, Andrea Baravelli docente di Storia contemporanea dell’Università di Ferrara e il collega di ateneo Paolo Veronesi, docente di Diritto costituzionale sono alle prese con la redazione di un libro a due mani sull’omicidio del sacerdote ravennate, avvenuto a bastonate ad opera dei fascisti, ad Argenta il 23 agosto del 1923. Il volume atteso nel 2024 raccoglie gli atti dell’inchiesta e del processo e l’analisi del contesto storico. «Nei giorni successivi l’omicidio di un sacerdote, patriota, medaglia d’argento al valor militare – racconta Baravelli - c’è paura e imbarazzo nelle fila dei fascisti, la morte di don Minzoni è uno snodo fondamentale per il Paese; in mancanza di una reazione veemente a livello nazionale, di una timidezza delle allora gerarchie vaticane, i fascisti si rendono conto di essere padroni del campo e iniziano i depistaggi». Dalla lettura delle carte lo storico e il giurista ricostruiscono un’inchiesta svolta in autonomia senza interferenze dal tenente Borla ad Argenta, dal giudice istruttore Borrelli, nonno del procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, che in pochi mesi ricostruiscono il quadro, poi prevarranno gli inquinamenti delle prove e le voci diffamatorie.
«Lavorando a Ferrara sulla figura di Cesare Balbo mi sono avvicinato a don Minzoni: con la canonizzazione, la chiesa ne riconosce l’importanza, un segno positivo, che aiuta a fare chiarezza sul tipo di santità di Don Minzoni, un martire cristiano che non è sovrapponibile all’idea di martire antifascista. Parliamo di un martirio alimentato dalla fede, l’antifascismo di Don Minzoni proviene dalla sua fede cattolica, dal suo spirito religioso. La sua non è una presa di posizione che fa riferimento a un partito politico ma in senso valoriale e identitario. Ma i suoi non sono valori divisivi, ma aggregativi». Cresciuto nella chiesa ravennate dove l’apertura alla società è forte, e dove l’arcivescovo Lega cerca di tenere insieme sensibilità diverse, per Baravelli, Don Minzoni porta avanti un’idea «di comunità inclusiva, mentre i fascisti pensano a comunità esclusiva. Nel suo ricreatorio vanno tutti. Argenta è un territorio di confine, di braccianti, più simile al ravennate dove la popolazione non è fascistizzata. E Don Minzoni è un prete che non si piega. Istituisce gli scout esploratori cattolici mentre nei balilla non va nessuno. Poco più di un anno dopo il faentino Giuseppe Donati direttore de Il popolo collegherà l’immagine di Matteotti e don Minzoni descrivendoli come martiri». Sullo sfondo rimane la figura di Italo Balbo, gerarca ferrarese, figura ingombrante anche per lo stesso Mussolini. «La verità giudiziale dice che nel delitto non c’entra e la famiglia ha sempre querelato chi diceva il contrario. Ma la verità storica dice che non poteva non sapere, nell’estate del 1923 il clima di violenza e l’offensiva contro i cattolici portò a pestaggi e devastazioni in quella zona e Don Minzoni non fu il primo».