Claudio Spadoni e la critica tra 800 e 900: l'intervista

Archivio

Quando un critico d’arte, curatore, docente, pubblicista e in passato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna e del Mar come Claudio Spadoni apre il proprio archivio, escono memorie preziose che danno vita a Storie d’arte e di critica tra Ottocento e Novecento, un volume fresco di stampa per i tipi di Maretti Editore (2021, pp. 292, euro 26). Impegnato nelle prime presentazioni tra Ravenna, il Museo Rimoldi di Cortina e la Fondazione De Chirico a Roma, Spadoni spiega le ragioni della sua ultima fatica.

Il libro raccoglie contributi e testi raccolti in un trentennio di intensa attività, qual è il filo conduttore?

«Il filo conduttore, come indica anche il titolo del libro, è il rapporto fra vicende artistiche e singoli protagonisti, con la critica. Devo ad Andrea Emiliani il suggerimento di questa pubblicazione, nonostante le mie perplessità a raccogliere insieme saggi scritti nell’arco di oltre 30 anni per occasioni diverse: testi per cataloghi di mostre, relazioni a convegni internazionali, contributi per riviste specialistiche. Mi disse che avrebbe scritto lui la prefazione, e dopo la sua scomparsa ho scelto di non chiederla ad altri».

Cosa dobbiamo all’impronta lasciata dai grandi protagonisti della critica d’arte, alcuni dei quali come Francesco Arcangeli sono stati suoi maestri?

«Naturalmente la mostra e il catalogo “Dal Romanticismo all’Informale”: un omaggio a Francesco Arcangeli, mio indimenticabile maestro, per il quale abbandonai una tesi ormai pronta con un altro docente. Conosciuto Arcangeli che aveva appena assunto la cattedra di Storia dell’arte medievale e moderna, non ebbi dubbi poiché da subito si stabilì fra noi un rapporto straordinario, anche per la sua grande umanità. Avevo perduto da poco mio padre ancor giovane, e la sua comprensione della difficile situazione che stavo vivendo mi toccava profondamente. Mi leggeva dentro, indovinando anche le mie preferenze artistiche. E mi ha aperto gli occhi sul rapporto arte-vita, per lui fondamentale, sui “tramandi”, sulla nozione non riduttiva di provincia. Ma vorrei ricordare anche la grande mostra di Giacometti, la più vasta realizzata fino ad allora in Europa».

C’è una mostra o un tema al quale è rimasto più legato fra quelli presenti nel volume?

«Oltre all'incontro con Momi, come era chiamato dagli amici Arcangeli, sono stati fondamentali gli scritti di Roberto Longhi, suo maestro, forse il più geniale degli storici dell’arte del Novecento, per quanto non immune da idiosincrasie, con clamorose prese di posizione su grandi artisti del passato come del suo tempo. Comunque uno scrittore straordinario. E naturalmente debbo aggiungere Corrado Ricci, maestro della moderna museologia. Anche lui, come Longhi e Arcangeli, al centro di un progetto pluriennale di mostre al Mar che si è concluso con Giovanni Testori, per quanto, con quest’ultimo, avessi avuto un incontro non proprio felicissimo. Mi presentò un comune amico come allievo di Arcangeli, con cui aveva intrattenuto rapporti spesso problematici».

Qual è lo stato di salute della critica d’arte oggi?

«Verrebbe da chiedersi se ancora esista la critica d’arte, che ormai da tempo ha perduto identità e funzioni. Ci sono gli storici, che per buona parte si interessano quasi solo d’arte antica, e i sedicenti curator che si affannano intorno a quanto proposto dalle grandi gallerie, cioè dal mercato. Con una conoscenza della storia dell’arte spesso perfino imbarazzante, nemmeno da “Bignami”».

C’è un progetto espositivo a cui sta lavorando?

«Sto curando assieme a Giorgio Bedoni e a uno studioso austriaco la mostra L’identità inquieta, per la Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia. Una variante, come mi era stato chiesto, di “Borderline” che già feci al Mar con un’affluenza di pubblico sorprendente. Poi, per i Magazzini del Sale di Cervia sto occupandomi della consueta mostra estiva che quest’anno avrà per titolo Sogno o son desto?, con artisti, per fare solo qualche nome, come De Chirico, Savinio, Sironi, fino a Moreni, Baj, Ontani, Cucchi e alcuni delle ultime generazioni. Sono anche alle prese col catalogo ragionato di una grande collezione».

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