Zaffagnini alla Bluklein di Cesena con "Sovversivi. James Joyce"

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«Vi siete fermati presso un fiume che scorre? Sareste capace di dare valori musicali e note esatte a quel fluire che vi riempie gli orecchi e vi addormenta di felicità?». È come una sorta di sfida raccolta sull’onda delle parole stesse del grande scrittore irlandese, la mostra fotografica di Giovanni Zaffagnini “Sovversivi. James Joyce”, aperta al pubblico alla galleria Bluklein (via Vescovado, 5 a Cesena).

È la prima tappa di un nuovo, innovativo progetto grafico e concettuale per l’affermato artista visuale fusignanese. Il finissage del 20 novembre vedrà la presentazione del catalogo dallo stesso titolo edito dall’anconetana Pequod, contenente foto e scritti relativi agli otto letterati “sovversivi” a cui Zaffagnini finge di aver prestato la sua fotocamera. Essi sono, con Joyce: Dante, Calvino, Pasolini, Celati, Rimbaud, Campana, Sepùlveda, con foto realizzate in altre varie località: da Punta Alberete a San Mauro Pascoli, da Fusignano alla costa adriatica, a Dobbiaco.

Sono passati appena due anni da quando è stata terminata la traduzione italiana di “Finnegans Wake”, ultimo e definitivo romanzo di Joyce. Il “Finnegans” di Zaffagnini scorre sulle rive del Montone, in una serie di dittici di scatti che ritraggono l’eterno fluire del tempo, e quindi anche della parola e del suono: rami che scivolano sulla superficie, canne morbidamente piegate dal vento.

«L’immagine del fiume fornita da Joyce stesso, descrive e rimanda a note rintracciabili nella lettura, ovvero la ricerca di una musicalità fatta non solo di parole inventate ma anche dell’esigenza di circoscrivere una lingua», scrive Dino Silvestroni nella presentazione alla mostra. «Anche queste fotografie, che rifuggono dall’illustrazione paesaggistica comunemente intesa, inseguono consapevolmente lo stesso fine. E il lettore, con il suo sguardo-lettura, ravviva quella partita doppia che la lettura crea sempre, qualunque sia la pagina da leggere, qualunque sia l’organo, occhio o orecchio, che legge».

Zaffagnini, perché fa partire da Joyce questo progetto tra fotografia e lettura?

«Ho sempre puntato a rendere il suono della parola. Vorrei invogliare chi vede le immagini a leggere gli autori. È un progetto che vuole annullare ogni contraddizione tra immagine e testo, perché il punto vero non è la descrizione di un luogo, ma unire la lettura stessa dell’opera alla sua conversione visiva. Le immagini non hanno suono, non contraddicono la musica che è fatta anche di silenzi, di parole “non urlate”, ma dette a bassa voce, perché sono un invito ad ascoltare. Scatti ripetuti (dittici, trittici) sono apparentemente simili, ma, esplorando fra minime varianti, si può cogliere quell’armonia fra le immagini che richiama le note collocate sul pentagramma. Sono dittici fondamentalmente musicali, colti ispirandomi alle lavandaie narrate da Joyce e al paesaggio eternamente uguale che osservavano».

Come ha “fotografato” gli altri grandi autori?

«Ad esempio Dino Campana, come colto in fuga dallo spazio aperto della montagna a quello chiuso del manicomio di Imola, da dove vede ancora la natura attorno ma attraverso le inferriate. E la palude dello Stige dantesco, l’errore di rilegatura nel “Viaggiatore” di Calvino, “La luce violenta tra i palazzi accecati” di Pier Paolo Pasolini, e per Sepùlveda cito come foto conclusiva dell’intero progetto una nuvola che come le idee vola senza barriere e non teme i muri di confine».

Nei mesi scorsi si è molto parlato della destinazione del suo importante archivio fotografico.

«Ora è vincolato dal ministero dei Beni culturali con diritto di prelazione, devono essere definiti i dettagli del passaggio. È stata completata la sua catalogazione. Mi interessa che venga culturalmente valorizzato attraverso un’attività promozionale fatta di incontri, mostre, pubblicazioni».

Info: orari dal mercoledì al sabato 10-13 e 15-19

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