Weber: "Cultura? Rimini li lascerà di stucco!"

Rimini

Rimini capitale italiana della cultura 2024 è possibile, contro ogni stereotipo. Perché è ricca di antica bellezza, perché è una città che sa cambiare, perché crea stupore. A raccontarcelo è Luigi Weber, riminese, italianista e professore all’Università di Bologna.

Weber, cosa pensa di questa eventuale candidatura?

«La trovo una magnifica opportunità, condita da una sorta di ingrediente ironico. Rimini è una città dalla storia più che bimillenaria, adorna di meraviglie artistiche e paesaggistiche, ma nell’immaginario collettivo dei più (a volte anche dei romagnoli) tutto questo è assente. Quindi candidarla, e magari averla, come capitale della cultura, sarebbe un bel modo per scalzare questo vecchio pregiudizio».

Rimini avrebbe dunque le capacità per ambire a questa nomina?

«Quando ero ragazzo, negli anni Ottanta, Rimini era una città ferma. Ricca, soddisfatta del suo trentennio almeno di opulenza balneare e discotecara, pigra. Non aveva voglia di cambiare. Poi sono successe molte cose; il mare si è deturpato, il turismo si è spostato altrove, ma non sono state tutte iatture. Negli ultimi quindici anni il volto di Rimini è cambiato come forse quello di nessun’altra città, almeno in Italia. Ogni volta che vi torno è una felice sorpresa. Penso anche solo al recupero di Castel Sismondo e del Teatro Galli, che fin dalla mia nascita per me erano l’uno un monolito inaccessibile e un parcheggio, l’altro una mesta rovina. Ora sono due realtà vive, recuperate, restituite alla cittadinanza, agli eventi e a chiunque visiti la nostra terra».

Giorgio Tonelli, caporedattore Rai Tgr, ha scritto di recente che per tanti italiani Rimini è sinonimo di vacanza balneare, ma è anche una città che «oggi forse più di ieri, crea simpatia e chi la visita per la prima volta nei suoi monumenti, nelle sue vie interne e nelle sue piazze esprime stupore e meraviglia. Ma non basta».

«Tonelli ha ragione. Negli anni, ogni volta che ho ospitato o accompagnato a Rimini e nel suo splendido entroterra qualcuno che non li avesse mai visitati, ho registrato sempre grande stupore ed entusiasmo. È necessario investire sulle sorprese che questa terra può offrire. Chi la visita non sa davvero quel che c’è; occorre lasciarli di stucco, e non è difficile. Basta che Rimini stessa sappia sempre meglio cosa può offrire».

Le istituzioni e le iniziative culturali riminesi potrebbero realmente trarre beneficio da questo riconoscimento o sarebbe meglio puntare su altro?

«Prima di tutto ovviamente bisogna uscire dall’incubo della pandemia. Ma poi, auspicabilmente presto, è bene continuare sulla strada intrapresa. Penso a eventi come la Biennale del disegno, al nuovo museo Part in piazza Cavour, al tesoro dell’Anfiteatro che andrebbe finalmente recuperato, all’incredibile restyling del lungomare, che porta (spero) con sé tutta una nuova idea, meno automobilistica, di fruizione della zona mare, e così via. Mi piace pensare a una Rimini sempre più verde e sempre più a misura di un turismo attento, curioso, non stordito da eccessi di grassi e di decibel. Dove luoghi come la Biblioteca Gambalunghiana e il Museo della Città, per fare due nomi, non siano più semideserti».

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