Volley A2 donne, Babbi, il riminese che vince in giro per l'Italia

È uno dei direttori sportivi più vincenti di sempre della pallavolo italiana. Nella sua bacheca fanno bella mostra tre scudetti, quattro supercoppe, una coppa Italia e due coppe internazionali. Più una serie infinita di promozioni. L’ultima, Pier Giuseppe Babbi, l’ha conquistata sabato scorso quando, con il suo Vallefoglia, è volato in A1.

Babbi, dica la verità: dopo tante vittorie, ci si riesce ancora a emozionare?

«Certo, perché vincere non è mai facile ed è sempre il coronamento di un percorso che è costato sudore e fatica. Sabato, quando ho visto cadere l’ultima palla a terra, non nascondo che ho provato una gioia infinita perché questa squadra ha fatto realmente qualcosa di straordinario. Soprattutto se pensiamo che fino a due anni fa non esisteva».

In che senso?

«Nel senso che nell’estate del 2018 siamo partiti completamente da zero. Quando il presidente Ivano Angeli mi ha contattato spiegandomi il progetto, sono rimasto colpito dal suo entusiasmo e dalla sua voglia di fare e così mi sono buttato in questa avventura. Abbiamo acquistato i diritti per iscriverci al campionato di B1 e siamo partiti con l’intenzione di salire nel giro di un paio di anni. Ma fin da subito la squadra ha iniziato a giocare un’ottima pallavolo conquistando le prime posizioni. Purtroppo, proprio nel momento in cui eravamo lanciatissimi, è arrivato il Covid e siamo stati costretti a fermarci. Una delusione enorme. A maggio 2020, però, ci è stata data la possibilità di acquistare i diritti di A2 di Baronissi e non ci siamo fatti scappare l’occasione. Perché, come dico sempre, quella promozione sarebbe stata nostra sul campo».

Cosa che avete fatto in questa stagione?

«Sì, devo fare davvero un grande complimento alle ragazze, alla società e in particolare a coach Fabio Bonafede che ho voluto fortemente. Questo è stato un successo caratterizzato da un’unione di intenti fortissima. Soprattutto dopo l’entrata in scena del Covid che ha rischiato di mandare all’aria tutto il nostro lavoro. Come ho detto in altre circostanze, abbiamo giocato tre campionati distinti l’uno dall’altro. Il primo lo abbiamo vinto, arrivando in testa al nostro girone. Poi c’è stata la Pool Promozione dove abbiamo dovuto fare i conti con il virus che ci ha fatto perdere partite e punti. Successivamente sono arrivati i play-off, ma lì ho capito dopo la prima partita, che potevamo arrivare fino in fondo».

Come si dice sempre in queste occasioni: ha una dedica particolare?

«Dedico questo successo, come tutti gli altri, al mio amico Paolo Stefanini, al mio mentore Walter Rinaldi e a tutta la Pallavolo Viserba che porto sempre nel cuore. La mia carriera è nata e partita dalla palestra Rinaldi. Ecco, forse l’unico rammarico di questi anni è proprio non aver potuto portare il Viserba dove meritava. Quando abbiamo iniziato il nostro percorso con Luigi Morolli in panchina, eravamo in C2. Abbiamo scalato tutte le categorie fino alla B1 quando, nel campionato 1997-’98, arrivammo a pari punti con la Icot Forlimpopoli. Per un miglior quoziente set, però, vinsero loro. Dopo un paio di giorni, a Paolo Stefanini arriva una telefonata della Federazione che praticamente ci conferma anche la nostra promozione in A2. Purtroppo, come poi è capitato anni dopo sempre a Viserba, nessuno ci ha dato una mano e abbiamo dovuto rinunciarvi. Ma questa è Rimini».

Cioè?

«È una città sorda allo sport. Da sempre. Ha fatto morire non solo la pallavolo, ma anche il calcio, il basket, il baseball, la pallamano. Eppure le possibilità economiche ci sarebbero. Guardo Cesena, guardo Pesaro e da riminese mi viene un travaso di bile: gli industriali di queste due città hanno capito che lo sport è un veicolo non solo sociale, ma anche promozionale. Solo noi non riusciamo a mettercelo in testa».

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