“Voi siete la mia ancora”: il gruppo dei familiari si racconta

“Oggi, al gruppo on line dei familiari del Cafè Amarcord di Rimini è successa una cosa speciale. Di quelle cose che quando arrivano stai molto attento perchè non vuoi perderti nemmeno un respiro. I familiari sono abituati a muoversi così: qualcuno spontaneamente comincia a parlare. Poi chi vuole rilancia e apre una strada.. Non si sa dove ci porterà e a quale significato arriveremo. Sta al gruppo, ogni volta, tracciare la rotta e accettare di fare il viaggio. Carla inizia così: “L’altra sera mia mamma voleva andare a casa sua ed era molto arrabbiata con la badante perchè non la lasciava uscire. Quando arrivo guardo la mamma e le rispondo: “Va bene. Andiamo”. L’ho vestita. Siamo uscite. Abbiamo fatto un giro intorno a casa. Si è calmata e poi siamo rientrate”. Ce lo dice con naturalezza. Con voce calma e limpida e con la consapevolezza di chi sa cosa sta facendo. “Ecco. Ero già preparata e mi sono sentita più tranquilla, ma perchè questo l’ho imparato qui”. Elsa completa il discorso: “...Già. Non ti sei spaventata”. Sandra lo amplia: “Mia mamma credeva che la badante le avesse rubato la maglia. Ho preso il telefono e ho fatto finta di chiamare la badante e la mamma si è tranquillizzata. Devi trovare delle strategie!”.

Lorena chiude il cerchio: “Una volta mi ha chiesto dov’erano sua madre e suo padre e io le ho risposto che con tutto questo caos erano in fila a fare la spesa e lei mi ha detto: “Ah sì. E’ vero!”. E si è tranquillizzata”. Poi il viaggio si fa ancora più interessante. Si va ancora più dentro le esperienze di ognuno. Sandra ci mostra un libro: “A me è servito molto per capire”. Carla in risposta: “Si, i libri insegnano, ma qui è un’altra cosa. In questi colloqui arriva anche l’emozione. Qui, c’è l’empatia di mezzo. Passa anche quella, parlando tra noi. E le emozioni arrivano anche nella parte interiore di noi, dentro, non solo nella mente. Passano nel sentimento. E così gli altri capiscono l’emozione degli altri. A me aiuta tantissimo potersi sentire, parlare”. Ascolto. C’è un silenzio denso di significati in cui penso che i familiari han spiegato perfettamente il valore di ciò che facciamo insieme. Non si poteva fare di meglio! Lo spessore di queste parole, così piene e rotonde, mi fa pensare che si è realizzata una comunicazione profonda e che le parole sono il frutto di quel viaggio che, come familiari, sono riusciti a fare insieme.

Sandra di slancio: “Noi abbiamo una cosa grande in comune! Questa cosa qui è il senso dello stare insieme. Viviamo lo stesso dolore.. Da lì parti”. Lorena argomenta: “Il mio dolore è vedere il guscio che è rimasto di quello che era mia madre.. Se lo dico a voi, voi mi capite. Se lo dico a un’altra persona mi dice: ma lei parla sempre di sua mamma! E’ un dolore vissuto insieme.. E ti senti compresa. Sandra prosegue: “E se mi succede qualcosa, come ieri a Carla, voi siete la mia àncora. E penso, quando le sento gli chiedo come han fatto! E mi chiedo come ho fatto prima che non c’era! E adesso come faccio? Come la risolvo? Per questo il gruppo è importante.. E’ oro quello che dite! Imparo tantissimo”. Mi pare, d’un tratto, di avere davanti un’orchestra in cui gli strumenti sapientemente si accordano, si avvicendano, si armonizzano. Parte il violino poi segue il violoncello. Attacca il basso. Ci sono assoli e momenti corali. Alla fine, un canto all’unisono. Ma il gran finale arriva così. Con la schiettezza e la forza delle parole a cui si affidano le grandi verità, quelle che ci han fatto sudare, penare e alla fine pensare. Elsa: “L’accettazione della malattia è il punto. Se non inizi quel percorso c’è sempre quel rifiuto di qualcosa perchè, in realtà, rifiuti qualcos’altro”. Ecco il silenzio. L’orchestra smette di suonare.
* psicologa

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