Rimini, gli usurai le chiedono interessi del 246 per cento, grazie al doppio gioco del suo compagno

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Per ottenere i soldi di cui aveva bisogno ha sottoscritto un accordo finanziario “capestro”, mascherato da un accordo preliminare per la vendita di un immobile. A spingere la donna nelle mani degli usurai, però, sarebbe stato il suo stesso convivente che, una volta beneficiato del prestito, finito per lo più nelle sue tasche, non si è più preoccupato del destino della compagna, una riccionese di sessantuno anni. Con il rischio di ritrovarsi senza soldi e senza casa si è rivolta alla magistratura.

Fissata l’udienza

Al termine di una complessa indagine coordinata dal pubblico ministero Luca Bertuzzi la procura di Rimini ha chiesto il rinvio a giudizio per tre persone. Rischiano il processo una nota imprenditrice nel settore immobiliare di 62 anni, originaria della Calabria con interessi in Sardegna e a Milano, l’ex convivente della parte offesa - un cinquantanovenne originario della provincia di Milano residente a Rimini, e il presunto mediatore dell’operazione, un quarantanovenne di Bolzano residente all’estero. Sarà il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Rimini, Manuel Bianchi, a decidere se mandare a processo o meno il terzetto (gli imputati sono difesi dagli avvocati Riario Fabbri, Ninfa Renzini e Libera Maria Azzarone). L’udienza è fissata per il 20 gennaio 2022.

Falso contratto

Secondo l’accusa la riccionese fu convinta dal convivente ad accordarsi con gli usurai attraverso la stipula di un “contratto” preliminare di vendita della casa. Sarebbe stato lui a definire l’ammontare del prestito, il termine per la restituzione e l’ammontare degli esorbitanti interessi (246 per cento secondo i calcoli degli investigatori). Gli obblighi, però ricadevano solo sulla compagna, spinta a firmare il finto contratto dove figurava che l’acquirente le aveva versato 130mila euro tra acconti, caparre e gioielli, sull’acquisto dell’immobile con conseguente diritto alla restituzione in caso di mancata stipula del rogito entro una certa data. Il tutto per giustificare il prestito di 70mila euro. Agli imputati la procura contesta anche le aggravanti di avere commesso il reato in danno di una persona che in quel momento versava in uno stato di bisogno e per avere richiesto in garanzia una proprietà immobiliare.

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