Vincenzi "Da Piacenza a Rimini manca l’80% dell’acqua"

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Bisogna agire in fretta, senza farsi sbarrare la strada dalla burocrazia. A sottolineare la delicatezza del frangente siccità e la necessità di una normativa speciale per fronteggiarla è Francesco Vincenzi, il Presidente nazionale di ANBI - Associazione Nazionale Consorzi Gestione Tutela Territorio e Acque Irrigue. Con lui facciamo il punto sul deficit idrico nella nostra regione.

Presidente, da seria la situazione si è fatta grave?

«Abbiamo livelli del Po mai visti, pochissima acqua dei laghi, nessuna disponibilità del manto nevoso, tutti gli impianti in forte sofferenza e assenza totale di acqua nella foce, con ingresso del cuneo salino di 30 km nei pressi di Pontelagoscuro. Stiamo gestendo al meglio gli impianti principali, ma da Piacenza a Rimini la situazione è uguale: manca l’80% dell’acqua che avevamo negli anni precedenti».

La linea del Garda è l’ultima speranza?

«Sì, oggi è l’unico lago con più acqua, ma comunque sotto la media storica. Però purtroppo c’è conflitto tra territori. Sono critici anche i rapporti transfrontalieri internazionali che riguardano le acque del lago Maggiore con la Svizzera e del fiume Isonzo con la Slovenia. È un’ulteriore prova della necessità di una gestione nazionale, capace di rapportarsi a livelli superiori, per gestire al meglio le inevitabili tensioni fra portatori d’interesse».

Quali saranno le conseguenze per la nostra agricoltura?

«Stiamo riducendo i prelievi, già al minimo storico, di un ulteriore 20% e irrighiamo a turno. L’indicazione è di salvare le colture più a rischio, ovvero quelle orticole e frutticole: purtroppo siamo costretti a fare delle scelte. Stiamo poi consigliando di irrigare nelle ore notturne, ridurre al massimo l’irrigazione per aspersione, utilizzando solo quella a goccia, ad altissima efficienza. Non abbiamo mai conosciuto una tale siccità in tempi così anticipati. Doverla fronteggiare tra la fine di luglio e i primi di agosto, con un mese in più, ci permetteva di portare a termine molte più colture. Il deficit idrico è altissimo, manca il 90% della pioggia, occorre gestire al meglio quella poca che abbiamo, non creando conflitti ma cercando di creare sinergie. Diversamente, pomodoro, melone, cocomero, pesche e pere sarebbero totalmente a rischio. Inoltre, al di là del problema agricolo, l’ingresso delle acque marine nell’entroterra, sta inquinando gli attingimenti idrici anche per il potabile e sta cambiando l’habitat di un patrimonio universale di biodiversità, pregiudicando la vita delle comunità locali».

Come antidoto per il futuro avete suggerito una rete di invasi. Qualcosa si sta muovendo in questa direzione?

«Sì, con il PNRR potrà essere messi a punto in alcuni territori un sistema di vasche di laminazione e laghetti che ci permettano di evitare alluvioni e trattenere l’acqua per distribuirla quando manca. Attendiamo però il finanziamento di un programma pluriennale che ci permetta di realizzare tutte le progettazioni che abbiamo pronte, come quella che ci consenta di mantenere alla foce del Po un livello idrico accettabile, sufficiente per continuare a produrre il 40% dell’acqua alimentare che viene prodotta nel bacino padano».

Quali sono i tempi di realizzazione?

«Lo stato di progettazione è molto avanzato, in 4-5 anni potrebbe iniziare a vedersi qualcosa di importante, in 10 avremmo un Paese abbastanza infrastrutturato. Però, bisogna sbloccare il finanziamento e alcune burocrazie del nostro Paese».

Il singolo cittadino può fare qualcosa?

«È fondamentale che ognuno faccia la propria parte. Bisogna ridurre al massimo l’utilizzo personale ed efficientare al meglio quello agricolo. Se gestiamo l’acqua in modo centellinato e puntuale, procrastiniamo la possibilità di averne a sufficienza fino a quando tornerà a piovere».

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