Viaggio dentro Sanpa: la lotta alla droga continua

Rimini

«Guardateci come una comunità». Nessuno all’interno di San Patrignano vuole dimenticare Vincenzo Muccioli ma tutti vorrebbero che quei riflettori accesi dalla docu-serie Sanpa, si spegnessero presto.

«In realtà parla solo di Vincenzo Muccioli, ne evidenzia solo gli aspetti del “personaggio” e punta tutto sui fatti eclatanti, sui processi, creando nello spettatore la convinzione che quello delle “catene” fosse un metodo di recupero», dice Antonio Boschini, responsabile terapeutico della comunità, da sempre a fianco di Muccioli e unico protagonista nella serie Netflix ancora in comunità. Anche Marcello Chianese, responsabile dell’ufficio legale di San Patrignano, come tutti i membri della cooperativa sociale, vive questo momento con amarezza, «perchè l’immagine che esce da Netflix non è quella reale». E se in parte lo è stata, come nessuno rinnega, non è certo quella di adesso, fa capire. Chianese è entrato a Sanpa nel 1986, a 19 anni, uno di quelli cresciuti con Vincenzo Muccioli. Il suo percorso l’ha portato a rimanere all’interno della comunità e a costruire una famiglia: «Il metodo Sanpa mi ha salvato». Ed è l’oggi, l’esempio di comunità terapeutica conosciuta a livello mondiale, «la migliore risposta a una ricostruzione parziale che voleva parlare solo di Vincenzo Muccioli». Oggi la collina accoglie circa un migliaio di ragazzi «abbiamo perso circa 200-300 ingressi a causa del Covid» spiega Chianese, 483 sono stati contagiati dal virus e attualmente non c’è nessun positivo.

Catene, botte, violenze psicologiche. La serie tv racconta molto di questo «ed è quello che più ci ha fatto male». Lo dicono in coro i responsabili dei vari settori, ognuno a modo suo protagonista del metodo, ora come educatori, prima come ospiti. Sono pochi quelli che hanno conosciuto Muccioli e che sono ancora in comunità, sono loro adesso che la guidano seguendo quel metodo che parte dall’idea di una famiglia allargata creata dal fondatore e che ora si traduce in pochi fondamentali passi: tempo, relazioni umane, condivisione, impegno, gratificazione, lavoro.

I passi verso il recupero
Tutto si fa in gruppo

Una comune, dove tutti vivono insieme, seguono le stesse regole, dove è l’esempio di chi è entrato prima a mostrare la strada per uscire dalla tossicodipendenza. «Il tempo è fondamentale – spiega Boschini – per questo per un anno chi entra non può avere contatti con l’esterno se non epistolari. Fondamentale perchè si sfruttano al massimo le relazioni umane, quelle che i tossicodipendenti non hanno e qui imparano ad avere. Vivere in gruppi, mangiare, lavorare, dormire insieme significa fare emergere chi si è veramente, quella parte offuscata dalla droga, che qui si impara a riconoscere. Non senza dolore. Non senza paure. Il rapporto con chi è nella tua stessa situazione, con chi capisce veramente cosa provi, sa cosa pensi, è la base del metodo di San Patrignano. Non sempre basta – spiega Boschini –. Un quinto degli ospiti viene seguito con percorsi psicologici individuali, quando le fragilità, quelle che ti hanno avvicinato alla droga, emergono, spesso sono vicende vissute nella pre adolescenza, per le donne nel 25 per cento dei casi sono abusi sessuali. Quando riaffiorano i ricordi la presa di coscienza può essere molto dolorosa e anche se il dolore non deve essere annullato, visto che fa parte del recupero, c’è il sostegno di professionisti. Si passa poi alla gratificazione, il primo passo verso una vita “normale”, trovare il bello nelle piccole cose, una quotidianietà annullata dalla droga. E si può trovare anche nel lavoro, come nella consapevolezza di stare facendo qualcosa che è utile a tutti». Formazione, lavoro, studio e ritorno alla vita normale, così Sanpa costruisce il futuro di chi l’aveva quasi cancellato.

I settori di occupazione per formarsi alla vita “fuori”

Sono 35 i settori in cui gli ospiti vengono occupati. Chi si occupa dell’accoglienza e quindi anche di come inviare i ragazzi nei vari settori è Virgilio Albertini, a Sanpa dal 2005.

«Il metodo di accesso in comunità parte dal contatto personale che, in quasi tutte le regioni d’Italia, i volontari che hanno creato associazioni, spesso ex genitori di nostri ospiti, hanno con il ragazzo prima e la famiglia poi. E’ così che ci fanno conoscere chi vuole entrare prima che noi lo conosciamo personalmente. Dal giorno dell’ingresso viene affidato a un ragazzo già in recupero: l’esempio di chi ha già esperienza è fondamentale, chi ha passato lo stesso inferno riesce a comprenderne le fatiche e insegna a superare le difficoltà. Si vive in gruppo dalla mattina alla sera, possono nascere amori ma anche incomprensioni, che si superano insieme».

Albertini non ha conosciuto Muccioli ma può raccontare come è cambiata la tossicodipendenza. «Conoscevo Sanpa e la sua storia, avevo bisogno di una scossa. Ho fatto uso di tante droghe per più di vent’anni, quando ho capito che da solo non ce la facevo più ho deciso di entrare e poi di rimanere, per trasmettere la mia esperienza agli altri. Il percorso è duro, impegnativo, le regole sono fondamentali come il lavoro che tiene costantemente impegnato». Albertini ha iniziato nel reparto falegnameria «non mi piaceva, poi mi sono appassionato. Scegliamo i settori in base alla personalità del ragazzo e del gruppo in cui vogliamo inserirlo. Ma non è così determinante che lavoro si fa, poi si può anche cambiare».

[caption id="attachment_190847" align="alignnone" width="450"] Daniele Tamburini, responsabile stamperia, con Alex - Foto Gasperoni[/caption]

Ai ragazzi che vogliono uscire si chiede consapevolezza

Anche oggi come allora, quando la docu-serie Netflix racconta dei metodi coercitivi per non farli scappare, ci sono ragazzi che vogliono andare via. «Né catene, né violenze neppure psicologiche – spiega ancora Albertini –. Prima cerchiamo di capire se il ragazzo è pienamente consapevole del perchè vuole uscire, proponiamo cambi di settore e di gruppo perchè il malessere può anche derivare da un inserimento con persone che per lui non vanno bene. E se necessario coinvolgiamo anche la famiglia, ovvio noi facciamo di tutto per farlo restare, per il suo bene,. E’ nel primo anno che c’è la percentuale più alta di uscite volontarie, ma più del 70% arriva a fine percorso.

Antonella Boeri è responsabile della tessitura, è entrata a Sanpa nel 1989. «Sono stata una rompiscatole, quando c’era qualcosa che non andava, quando avevo bisogno di qualcosa suonavo a casa di Vincenzo e lui mi ascoltava. Ho iniziato a drogarmi a 14 anni, sono arrivata qui direttamente dal carcere. Il primo giorno mia mamma ha incontrato Vincenzo e mi ha detto: questo è il posto che fa per te. Dopo il percorso di 3 anni sono uscita ma dopo nove mesi sono tornata: è qui che incontrato mio marito e ho deciso che sarebbe stata la mia casa». Nella tessitura si crea, dal disegno al prodotto finito. Le tante donazioni di tessuti di grandi firme, da Zegna a Chanel, permettono creazioni preziose, tessuti rigorosamente con telai a mano, cucite e rifinite dalle ragazze. Una nicchia nel mercato internazionale, ogni prodotto è unico. Ma prima che le ragazze in terapia se ne rendano conto ci vuole tempo. «La realtà delle giovani è diversa da quella di un tempo. Famiglie sfasciate, società dell’apparenza, tutto si basa sull’aspetto fisico, le dipendenze si inseriscono in un contesto sociale molto diverso, soprattutto per le ragazze».

Se la tessitura è tutta al femminile la stamperia è tutta maschile. Daniele Tamburini è il responsabile del settore. «Sono entrato nel 1987, mia zia era stata una sorta di “tata” per Vincenzo, erano vicini di casa. Ho scelto di restare per trasmettere quello che Vincenzo mi ha insegnato, l’amore per il prossimo. Ma l’inizio è stato durissimo: sono entrato a giugno, da qui, dalla collina vedevo Rimini, era luglio e agosto, il centro del divertimento visto da lontano dove avrei voluto essere. Ero disperato, come lo erano i miei genitori, è stata dura ma ce l’ho fatta, sono stato fortunato».

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