Via Crucis di un popolo stremato

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. Dio mio, grido di giorno e non rispondi; di notte e non c’è tregua per me.
Alla cinque della sera, in un angolo della Romagna ferita a morte, risuonano le parole di un passo del Vangelo. La strada è semideserta, acqua ovunque, gli abitanti con gli stivali di gomma sembrano anime in pena del Purgatorio. Non ci sono più lacrime e nemmeno parole per descrivere la devastazione del maggio 2023 che richiama alla memoria il terremoto emiliano di undici anni fa. Anche ora le vittime sono gli attori involontari di una Via Crucis, la croce in spalla è il badile sporco di fango. Nel maggio 2012 un emiliano confidò al cronista il suo stato d’animo: «Siamo in guerra con la terra». Difficile stilare una classifica del dolore. Oggi i nemici sono i fiumi, i torrenti, i canali che terrorizzano gli abitanti, impotenti davanti agli argini che cedono e spalancano le porte all’onda d’acqua e detriti.
La collina e la montagna si stanno sbriciolando, il numero delle frane non si conta. C’è un problema di sopravvivenza per il presente e per il futuro. Una spiaggia si può ripulire in un tempo ragionevole, ma un monte non si può ricostruire.
E se le popolazioni sono costrette ad abbandonare le valli sarà la fine. Le mappe sono da aggiornare, i navigatori satellitari da ricalibrare, le strade sono state ingoiate e trascinate verso la pianura. L’isolamento è una condizione diffusa, si campa senza telefoni, corrente e acqua potabile. Come al fronte, dentro la trincea, l’imperativo è salvare la pelle e aiutare chi sta peggio.
Oggi più che mai, forza Romagna. Non mollare.

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