Verucchio, il convento scomparso "ritrovato" da Giuccioli

Cultura

VERUCCHIO. In alcuni casi fortunati, lo studio e la ricerca storiografica possono ricostruire l’architettura del passato. È il caso – anche fuor di metafora – di Maria Giovanna Giuccioli, architetta e scrittrice verucchiese, che ha riportato alla luce il convento di San Francesco dei Padri Francescani Conventuali di Verucchio, distrutto e scomparso. Il risultato delle sue recenti ricerche è raccolto nel bellissimo volume “Il Convento Francescano scomparso di Verucchio”, che a partire dalle poche testimonianze scritte sulla distruzione dell’edificio, ricostruisce con ottima approssimazione il cenobio più importante della Verucchio malatestiana. Un complesso monastico maestoso, adorno di ricchi tesori, ora situati in altre chiese o portati altrove in epoca napoleonica.
«Una domanda sorge spontanea – sono le parole dell’autrice nella quarta di copertina – perché dedicarsi ad un edificio che non c’è più? Cosa abbiamo perduto? Un sentimento di malinconia ci assale per primo, poi la consapevolezza di voler tramandare ai nostri figli e alle generazioni future le opere che ancora ci parlano, perché Verucchio è uno scrigno prezioso. […] I segni sono ancora fra noi: occorre semplicemente fare silenzio e guardare».
Un dato interessante della pubblicazione è che anche i non addetti ai lavori possono immaginare il probabile aspetto esterno dell’edificio, gli spazi della vita monastica come il chiostro, le celle in cui vivevano i frati, il pozzo, la chiesa, grazie a più di duecentocinquanta pagine corredate da mappe, epigrafi, testimonianze, raccolte fotografiche e ben due inventari ottocenteschi.
Giuccioli ha riesumato un edificio dimenticato di grande fascino per la storia di Verucchio, la “piccola verruca” «secondo una delle etimologie più plausibili», scrive nelle prime pagine don Stefano Bellavista, arciprete di Verucchio. Attraverso un lavoro certosino – pubblicato da Pazzini Editore – Giuccioli ha svelato «una storia che si cela e si manifesta, di volta in volta, nel paesaggio ubertoso, nel borgo medievale, nel popolo operoso che lo ha abitato, nei santi della nostra terra, nella signoria dei Malatesta, nei tanti che, pur non essendo “passati alla storia”, hanno “fatto la storia”, con la loro presenza, il loro impegno sociale, la loro fede tenace, opera muta e silenziosa eppure viva sebbene lontana dal clangore degli eventi» scrive Bellavista.
Il risultato, come sostiene Lisetta Bernardi nell’introduzione, è che se il filtro della grande storia ha sacrificato la memoria del convento verucchiese, questo libro concederà, accanto all’opzione di dimenticarla scientemente, quella di beffarsi dell’oblio in cui lo aveva gettato il corso degli eventi, o meglio, che «la dimenticanza possa essere una opzione consapevole e, vivaddio, assolutamente lecita, non un torto che passivamente si subisce».

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