Arrivano fino al cervello, attraversano le sue difese più profonde, si accumulano nei tessuti e interferiscono con i meccanismi che regolano memoria, infiammazione e invecchiamento neuronale. Le micro e nanoplastiche, per anni relegate al dibattito ambientale, oggi entrano ufficialmente nel perimetro della salute pubblica. A lanciare l’allarme è uno studio firmato dai ricercatori dell’Irccs San Raffaele di Roma, pubblicata sulla rivista Nanomaterials e dedicata alle più recenti evidenze su un tema di crescente urgenza sanitaria: la capacità delle particelle plastiche di raggiungere e alterare il sistema nervoso centrale.
Lo studio mostra come le particelle più piccole - inferiori ai 100 nanometri - possano oltrepassare la barriera emato-encefalica, il sistema che protegge il cervello dalle sostanze indesiderate. In alcuni casi, spiegano i ricercatori, riescono addirittura a raggiungere il tessuto cerebrale attraverso la via olfattiva, aggirando le difese naturali del nostro organismo.
Una volta penetrate, le microplastiche non restano passive: lo studio documenta come possano innescare stress ossidativo, neuroinfiammazione, danni ai mitocondri e alterazioni dei meccanismi che regolano l’invecchiamento neuronale. Processi che, nel tempo, possono contribuire alla formazione di aggregati proteici come β-amiloide e α-sinucleina, molecole associate a patologie come Alzheimer e Parkinson.
«Le plastiche ambientali non rappresentano più solo una minaccia ecologica, ma anche un potenziale rischio per la salute cerebrale. Comprendere come e quanto queste particelle interferiscano con le nostre funzioni neuronali è una nuova priorità di sanità pubblica - sottolinea il professor Ennio Tasciotti, responsabile del Laboratorio Human Longevity Program dell’Irccs San Raffaele -. È il momento di misurare, standardizzare e monitorare l’esposizione umana, integrando la dimensione ambientale nei percorsi di prevenzione e riabilitazione neurologica».
Le evidenze raccolte mostrano come frammenti plastici siano stati rinvenuti nel tessuto cerebrale umano e nel liquido cerebrospinale. Nei modelli animali l’esposizione cronica è stata correlata a deficit cognitivi, alterazioni della memoria e problemi di apprendimento. A complicare il quadro è la composizione stessa delle microplastiche: una miscela di polimeri diversi (Ps, Pe, Pr, Pvc, Pet) e di additivi tossici, dai metalli pesanti ai pesticidi, che ne amplificano gli effetti biologici.
Il tema è particolarmente sensibile per un Paese come l’Italia, dove l’invecchiamento della popolazione rende più vulnerabili ai fattori ambientali che incidono sul declino cognitivo. Per questo i ricercatori propongono una roadmap nazionale, basata su standard analitici condivisi, studi longitudinali sull’uomo e nuovi biomarcatori per correlare in modo affidabile l’esposizione cerebrale ai danni clinici.
Ma non si gioca tutto solo in laboratorio: qualcosa possiamo farlo anche noi, ogni giorno. La casa, paradossalmente, è il luogo di massima esposizione alle micro e nanoplastiche. Per ridurla possiamo partire da scelte semplici: evitare l’acqua in bottiglie di plastica, soprattutto se esposte al caldo o conservate a lungo, e limitare l’uso di indumenti in tessuti sintetici, che durante i lavaggi rilasciano quantità significative di particelle nel ciclo idrico. Piccole azioni quotidiane che, sommate, possono diventare la prima linea di autodifesa in un problema globale che ci riguarda sempre più da vicino.