Nel mondo, l’acquacoltura ha superato nel 2022 per la prima volta la pesca tradizionale, raggiungendo 130,9 milioni di tonnellate. Un traguardo storico, secondo la Fao, che testimonia il ruolo crescente di questo settore nella sicurezza alimentare globale. Ma dietro a questo successo ci sono sfide e difficoltà a cui rispondere. E la Romagna, territorio cardine dell’acquacoltura italiana, lo sa bene.
Nella Sacca di Goro e nelle Valli di Comacchio si produce ogni anno circa il 55% delle vongole italiane, pari a 16mila tonnellate. È un’attività che intreccia economia, tradizione e paesaggio, ma che oggi deve fare i conti con minacce sempre più complesse: la crisi climatica e la diffusione del granchio blu, specie aliena predatrice particolarmente aggressiva verso i molluschi. «Negli ultimi anni - spiega Giuseppe Arcangeli, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Izsve) - il cambiamento climatico è il fattore più impattante sugli allevamenti. Le alte temperature hanno favorito la comparsa di nuove malattie, anche tra le specie selvatiche».
In particolare le vongole veraci, simbolo delle lagune adriatiche, sono messe in crisi da un micidiale binomio: acque troppo calde e la presenza massiccia del granchio blu (Callinectes sapidus), capace di predare in modo sistematico e di compromettere intere stagioni di raccolto.
Per contenere i danni, i venericoltori stanno sperimentando soluzioni alternative. Una delle vie più promettenti è la diversificazione delle specie allevate, come l’introduzione dell’ostrica concava, più resistente agli stress termici e allevata in contenitori protetti (“poches” o lanterne) che la mettono al riparo dal granchio blu.
Tuttavia, non si può abbandonare la vongola verace. Si punta allora su sistemi di protezione passiva, come recinti o contenitori in rete, e sul miglioramento della circolazione delle acque lagunari, così da garantire maggior apporto di ossigeno e condizioni ambientali più favorevoli.
Izsve, Centro di riferimento nazionale per le malattie di pesci, molluschi e crostacei, è in prima linea nella ricerca di soluzioni. «Stiamo lavorando - continua Arcangeli - con l’Università di Padova per selezionare ceppi più resistenti alle malattie e al calore, attraverso studi sulla resistenza genetica».
Il supporto dell’Istituto non si limita alla ricerca: i laboratori di virologia, batteriologia, parassitologia e biologia molecolare sono costantemente al servizio degli allevatori, con attività di diagnosi, consulenza e sopralluoghi.
Tra difficoltà e innovazione, il settore della molluschicoltura resta vitale. Le aziende, spesso a conduzione familiare, sono determinate a difendere una tradizione che ha ancora molto da offrire. E intendono farlo anche in un contesto climatico ed ecologico profondamente mutato.