Vera Gheno: «Giovani sempre connessi alla Rete? Non è tutto da condannare»

RAVENNA. «Viva i social!» o «abbasso i social!»: chi ha a che fare con figli adolescenti sempre col naso sullo smartphone, d’istinto saprebbe cosa rispondere… Ma Vera Gheno e Bruno Mastroianni, ospiti domani alle 18 del Centro relazioni culturali di Ravenna, alla sala D’Attorre di via Ponte Marino, suggeriscono un cambio di prospettiva con il loro libro “Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”.
Sociolinguista Gheno, filosofo della comunicazione Mastroianni, dalle interviste con circa mille ragazzi delle scuole di Firenze hanno infatti disegnato un quadro originale di una situazione di cui spesso non si valutano tutte le componenti.
«E spesso finiamo per non vedere – specifica infatti Vera Gheno – che i peggiori utenti dei social sono proprio gli adulti… Ma qualsiasi incidente, che sia online oppure offline, ha più risonanza se interessa ragazzi. Non credo però che questi abbiano un approccio ai social peggiore di quello dei grandi, semmai abbiamo constatato che i ragazzi non ci rivelano quello che fanno realmente in rete, perché noi adulti non lo capiremmo. Inoltre molte volte i genitori non ne sono interessati, anzi c’è da parte loro sconcerto, fastidio o addirittura rigetto…».
I ragazzi quindi sarebbero disponibili ad aprire questo loro mondo agli adulti?
«Certo! Se riuscissimo a integrare nel quotidiano la loro vita digitale. Possiamo fare i dinosauri quanto vogliamo, ma mi pare chiaro che considerare la vita online come qualcosa di separato da quella offline sia un errore. Non a caso del resto Luciano Floridi parla di “era onlife”, in cui reale e virtuale si confondono».
Ma per dei giovani questa visione non è fuorviante?
«No, perché le due dimensioni sono diverse anche se in continuità, e fanno riferimento a contesti cognitivi, comunicativi, esistenziali… diversi ma non separati, “permeabili”, mentre l’errore che, quello sì, genera mostri, è che fra i due stati esista una cesura».
Per un adulto però non è semplice trovare la giusta misura rispetto all’uso che i ragazzi fanno dei social.
«Le differenze generazionali oggi sono in realtà molto più nette di un tempo: i ragazzi infatti travalicano da una parte all’altra in modo molto naturale, ma devono essere guidati a gestire bene questa loro capacità. E noi adulti non è che ci comportiamo molto meglio, come la cronaca dimostra, ma allo stesso tempo siamo sguarniti rispetto all’aiutare i nostri figli».
Impasse complessa…
«Se ne esce solo con il confronto: il ragazzo deve misurarsi con una “educazione civica” che vale anche nel digitale, e noi adulti dobbiamo farci aiutare dai giovani, vigilando comunque sempre sugli eccessi dello stare online, spesso sintomatici di un disagio relazionale che il virtuale amplifica. Per poter vivere “felici e connessi”, insomma, bisogna far emergere la parte positiva di questa comunicazione, anche nella scuola, dove… ci si fa un gran mazzo, ma mancano investimenti e di conseguenza motivazione a cambiare punto di vista, e manca anche la collaborazione delle famiglie. Del resto, come fai a diventare “cittadino 3.0” se tua mamma si fa i selfie seminuda e tuo padre inveisce online contro Laura Boldrini?».
Insomma demonizzare i social ci impedisce di capirli e di capire anche i nostri ragazzi…
«Da sempre, quasi per un interesse morboso, tendiamo a notare molto più quello che non funziona, ma le assicuro che su mille intervistati, solo 10 fanno cose davvero molto brutte. Gli altri 990 usano il web per cazzeggiare, e anche per “inventarsi” situazioni e riflessioni davvero belle».

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