Vela, Giancarlo Pedote: "Il giro del mondo e i miei progetti" VIDEO

Con lo stesso rigore con cui un filosofo indaga il senso dell’esistenza umana, Giancarlo Pedote (che ha in tasca proprio una laurea in filosofia) affronta la vela, il mare, la navigazione. Quest’anno il velista fiorentino, 45 anni, il 28 gennaio ha concluso il giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza, la mitica Vendée Globe. Dopo 80 giorni di navigazione è giunto ottavo a quasi 19 ore di distacco dal vincitore. Il miglior risultato mai ottenuto dagli unici quattro italiani riusciti a completare la difficile prova: l’italofrancese Alessandro Di Benedetto 11esimo nel 2013 in 104 giorni, il cervese Simone Bianchetti 12esimo nel 2001 in 121 giorni e il romano Pasquale De Gregorio (che per una dozzina di anni ha vissuto a Rimini) 15esimo sempre nel 2001 in 158 giorni. Prima di volare sugli Imoca 60 del giro del mondo, però, Pedote ha provato il “provabile” della nautica: windsurf, catamarani, classe Mini a prua tonda (un bel secondo posto nella mini Transat del 2013), derive acrobatiche e volanti come i moth, surf… Regate in equipaggio, regate in Atlantico. Tanti successi. Sempre un passo alla volta, negli ultimi anni costruito dalla casa nei pressi di Lorient, in Bretagna, dove vive insieme alla moglie e ai due figli.


Giancarlo cosa ti ha spinto a fare il giro del mondo in solitario?
«Il giro del mondo per me è stato un po’ il passo successivo alle esperienze precedenti. La scelta più logica e l’obiettivo più ragionevole, una regata per la quale non ci si sente mai pronti. Prima di partire mi sono posto tante domande ma bisogna accettare questa situazione, avere il coraggio di fare il salto e cercare di farlo nel modo più ponderato possibile, facendo le cose giorno dopo giorno».
I tuoi studi di filosofia come si incrociano con la tua passione per il mare?
«La filosofia mi ha insegnato un metodo, mi ha insegnato a strutturare il ragionamento. La logica, il mettersi in dubbio, il cercare sempre di verificare fino in fondo ciò che si fa, mettersi sempre in discussione… Questo è stato il miglior regalo che la filosofia mi ha lasciato».
Hai letto autori che parlano di navigazioni che ti hanno segnato nel percorso?
«Ho indubbiamente letto Moitessier, ma non credo sia stato lui che mi ha spinto… La vela che facciamo oggi, con le nostre imbarcazioni a foil, è diversa dal giro del mondo romantico di Moitessier. Ci muoviamo con mezzi molto competitivi, tecnici, stressanti, che spesso non ti concedono di alzare la testa e guardare il cielo e abbandonarsi alle riflessioni, come faceva Moitessier. É un tipo di vela molto cambiato».
Che impressioni invece hai ricavato nel leggere le regate delle Simone Bianchetti o Pasquale De Gregorio, due italiani che ti hanno preceduto nel partecipare al Vendée?


«Indubbiamente una ottima impressione perché portare in fondo un Vendée Globe è un qualcosa di veramente difficile di cui essere veramente felici. É una regata molto complessa. Sia Simone sia Pasquale lo hanno fatto con mezzi forse ancor più centellinati dei miei e quindi ho sempre nutrito un grande rispetto per loro e per le persone che riescono a portare a termine una regata del genere».
Ti aspettavi di arrivare così vicino al primo?


«Chiaramente i sogni non si arrestano e mai si smette di sognare o di immaginarsi una bella posizione quando si pensa a questa regata. Per me la top ten era chiaramente un sogno. Sapevo che c’erano otto barche nuove, cinque barche modificate con foil di ultima generazione e quindi molto più performanti della nostra… Per me l’obiettivo era quello di finire».
Come sarà la tua prossima Vendée? Che prospettive ci sono?
«La mia prossima Vendée per essere più competitiva ha bisogno di più risorse, probabilmente di un altro sponsor per proiettarsi su risultati più ambiziosi. É qualcosa che stiamo valutando col mio sponsor Prysmian Group. In quanto persona molto competitiva, per essere stimolato ho bisogno di un nuovo obiettivo e andare oltre me stesso. Stiamo cercando di preparare il terreno perché questo possa accadere».
Cosa pensi della scelta di modificare il tipo di scafi di questa regata?
«L’idea di mettere dei limiti la trovo molto sensata perché è bene mettere dei limiti ai costi delle nostre imbarcazioni oggi diventati veramente molto importanti».
La tua impresa alla Vendée e quella di Luna Rossa in America’s Cup hanno riportato l’attenzione degli italiani sulla vela. Cosa si dovrebbe fare per avvicinare di più gli italiani al mare?
«Indubbiamente l’interesse dei media già è qualcosa che permette al pubblico di essere coinvolto e poi anche l’organizzazione delle regate stesse attira il pubblico e i giovani. Tutte le azioni che sono volte a valorizzare il nostro sport sono gocce importanti capaci di far aumentare i follower della vela. Il nostro Paese ha il calcio come protagonista e la maggior parte dei bambini sogna di diventare calciatore. Certo la vela oceanica in Italia è difficile da far capire perché non abbiamo l’oceano o porti da cui partono delle regate come in Francia per il giro del mondo. Questa è già una complessità e poi oggi tanti giornali che si dichiarano giornali di cronaca sportiva raccontano per il 90% calcio e per il 10% gli altri sport. Probabilmente cercare di cambiare questa equazione potrebbe essere un buon passo».


Cosa ne pensi degli Ac75?
«Barche bellissime, molto interessanti dal punto di vista tecnologico… La vela passa da delle barche che navigano secondo il principio di Archimede a delle barche che volano e capaci di navigare a quattro volte la velocità del vento. Probabilmente se l’avessimo raccontato 30 anni fa nessuno ci avrebbe creduto… La formula scelta per l’America’s Cup l’ho trovata molto interessante. Le regate con una durata piuttosto limitata hanno permesso un certo tipo di cronaca avvincente per i telespettatori».
Hai seguito le regate di Luna Rossa?
«Mentre ero in navigazione avevo solo delle informazioni sui risultati dialogando con gli amici che erano a terra. Appena sono arrivato ho iniziato a seguire. Mi è successo più volte, soprattutto quando stavo navigando sotto la Nuova Zelanda… A volte avevo voglia di parlare con qualcuno e in Europa erano ore di sonno e quindi mi è capitato più volte di scambiare qualche parola con Francesco Bruni, su varie cose, di prendere incoraggiamenti. E stata una cosa divertente».


Se non avessi fatto il velista professionista cosa avresti fatto?
«Probabilmente un lavoro dove avrei potuto continuamente mettermi in discussione, avere sempre un nuovo obiettivo per cui è opportuno lottare. Penso che uno dei più bei messaggi che mi ha regalato mio nonno (una persona chiave della mia vita) è stato che si cresce nelle difficoltà. Lui ha dovuto prendere parte alla Seconda Guerra Mondiale e di difficoltà ne ha avute tante. Ma proprio in queste difficoltà è diventato l’uomo solido che è apparso agli occhi di me bambino».

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