Il film, alla ricerca di Europa con una barca a vela del 1910

“Le navi vogliono essere trattate con riguardo”, scrive Joseph Conrad, il più grande dei mariani-scrittori. E aggiunge: “La nave è una creatura delicata, e bisogna tener conto delle sue idiosincrasie se volete che faccia onore a se stessa e a voi nelle tumultuose vicende della sua vita”. Un insegnamento di cui ha sempre tenuto conto Piero Tassinari, storico e gran marinaio triestino, armatore innamorato di Moya, cutter aurico costruito in Inghilterra nel 1910. Lunga 12,92 metri, ha scafo affilato e signorile piano velico, per un totale di 112 mq. Negli anni Novanta del secolo scorso, il precedente armatore, aveva fatto seguire i lavori di restauro e ripristino a un progettista d’eccezione, Carlo Sciarrelli, che ha messo la sua firma anche ad alcune delle barche più belle costruite nel Cantiere Carlini di Rimini. A Moya in occasione dei suoi cento anni lo stesso Piero Tassinari, morto nell’autunno del 2017, e Paolo Rumiz avevano dedicato un libro: “Il segno dell’onda. Moya 2010-1910”. Quale miglior barca, anche metaforicamente parlando, di sangue inglese, d’ascendenze arabe, almeno per il nome che significa acqua, d’amore italiano, per provare a mettersi sulla scia di Europa, l’antica dea orientale delle origini di questo nostro subcontinente, bella e dannata, in preda oggi a violente crisi, veri e propri accessi febbrili, molto pericolosi. Una barca e un viaggio raccontato per immagini da Alessandro Scillitani e per parole da Paolo Rumiz nel film “Alla ricerca di Europa”. Scillitani ci ha anticipato qualche retroscena degli incontri, delle difficoltà, dei piaceri, di ciò che quel viaggio ha rappresentato per lui e può insegnare a tutti noi europei, per nascita, necessità o scelta, comunque fieri di esserlo.
Quando ha conosciuto Piero Tassinari e come è nata l’idea del viaggio che poi è diventata un film?
«Nel 2014 quando, per un altro film fatto con Paolo Rumiz, mi aveva raccontato alcune leggende legate al mondo dei fari. Nei primi mesi del 2017 Piero mi disse che aveva un’idea. Lui era un triestino trapiantato a Cardiff, nel Galles, lì insegnava lettere antiche, e non riusciva a capacitarsi del fatto che i suoi studenti, con la Brexit, avrebbero perduto irrimediabilmente il contatto con il Mediterraneo. Da qui prese forma l’idea di mettere alla sua barca Moya le corna e trasformarla nel toro bianco, reincarnazione di Zeus, che rapì Europa. Volevamo rievocare il mito fondativo dell’Europa, metterci in viaggio tra Oriente e Occidente, tra isole turche e greche. Questa proposta mi affascinò moltissimo, anche perché sono sempre stato innamorato del mito. Inoltre da quando ho raccontato insieme a Paolo Rumiz i fronti della Grande Guerra, si è fatta strada in me la forte consapevolezza dell’importanza dell’Europa. Quindi accettai di buon grado di imbarcarmi con Piero in cerca di storie, per farne un film».
Quindi siete partiti! Quando e da dove?
«Siamo partiti nel giugno del 2017 da Marmaris in Turchia, dove la barca era ormeggiata. In realtà, per essere filologici, avremmo dovuto raggiungere il Libano, dove nella leggenda Zeus, mutato in toro, aveva trovato la fanciulla, profuga ante litteram. Ma non ci interessava ripercorrere lo stesso itinerario, ma piuttosto rievocare, cercare leggende, fantasmi, in bilico tra passato e presente.
Tassinari al timone, Scillitani alla camera, Paolo Rumiz al taccuino; chi altri con voi e con che ruoli?
«Lorenzo Buchler assistente timoniere, David Hughes, membro della Commissione Europea in Galles. E due vigili e severe osservatrici: Maria Grazia Moratti e Irene Zambon. Ma devo dire che la stessa Moya, per certi versi, è stata anche una compagna di viaggio, insieme barca e membro dell’equipaggio».
Oltre alla rotta cos’altro avevate pianificato ?
«Ci siamo mossi in totale libertà, senza aver preparato alcun incontro, per cui quello che abbiamo trovato ha molto a che vedere con la casualità. Ma è il mio modo di procedere consueto. L’imprevisto è parte fondamentale del viaggio e del film».
Per lei, uomo di pianura, che tipo di esperienza è stata?
«Da quando mi trovo a viaggiare con Paolo Rumiz, triestino abituato a vedere e a vivere contemporaneamente il mare e la montagna, sono diventato anch’io disponibile ad attraversare ogni ambiente. Viaggiare su una barca a vela del 1910 è stata un’esperienza indimenticabile. Al fianco di Piero, poi, tutto il mito e la storia antica hanno preso forma viva, attraversando luoghi già di per sé suggestivi».
Come si lavora a bordo, da un punto di vista filmico?
«Gli spazi sono stretti, ma io sono abituato a usare mezzi leggeri, senza l’ausilio di troppa tecnologia. Su una barca come Moya d’altronde, sarebbe stato impossibile introdurre una troupe cinematografica. Ma per me questo non rappresenta un problema, perché io cerco l’autenticità, e il modo migliore per raccontare ciò che davvero accade è diventare parte dell’equipaggio, essere nel racconto, diventare narratori invisibili».
Che Europa le ha fatto scoprire questo viaggio? lasciandole più speranze o preoccupazioni?
«Quello che abbiamo raccolto, in generale, è preoccupante. C’è molto euro-scetticismo, in giro. Però alla fine, proprio un bambino, sorprendentemente, ha portato speranza. Forse indicando davvero una via. Che è quella di partire dai giovani, dal creare per loro, per tutti, una nuova narrazione dell’Europa».

“Alla ricerca di Europa”, verrà presentato dal regista Alessandro Scillitani oggi al Cinema Tiberio di Rimini, all'interno della rassegna “DOC.DOC chi è?”, un evento speciale in occasione della Festa dell’Europa, con proiezione alle 21. Nel film si racconta un viaggio reale alla riscoperta del mito della dea Europa, rapita da Zeus, innanzitutto attraverso la voce di Piero Tassinari, storico e skipper, e di Paolo Rumiz, scrittore e viaggiatore. Una rotta mediterranea, tra isole turche e greche, in cerca delle tracce del mito antico, tra leggende di ieri e paure di oggi. Con loro a bordo c'era anche Alessandro Scillitani, autore di documentari, musicista e cantante. Delle sue opere cura sceneggiatura, regia, montaggio e musiche, insomma un “one man film band”. Dal 2011 collabora assiduamente con Paolo Rumiz, con cui ha realizzato numerosi film, distribuiti in edicola con la Repubblica e trasmesse su LaEffe TV. Ha partecipato a numerosi festival e rassegne.

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