Vela, 25 anni fa la tragedia del Parsifal, il lungo dibattito sulla sicurezza in mare

RIMINI. Era il 2 novembre 1995. Attorno alle 21 un’onda anomala investe l’imbarcazione riminese Parsifal mentre partecipa a una regata danneggiandola a tal punto che in poco tempo va a fondo e le nove persone di equipaggio si ritrovano in mezzo a un mare in tempesta, aggrappati a una cima, un parabordo e due taniche. Inizia una lunga notte dalla quale ne escono vivi solo in tre: l’armatore lombardo Giordano Rao Torres (52 anni) e i due riminesi Carlo Lazzari Agli (34) e Andrea Dal Piaz (36). Quella notte perderanno la vita Luciano Pedulli (47 anni, allora presidente del Circolo Velico Riminese), Mattia De Carolis (36), Giorgio Luzzi (59), Francesco Zanaboni (22), Ezio Belotti (36), e per ultimo Daniele Tosato (35). La barca era un progetto di Sciarrelli costruito dai Cantieri Carlini di Rimini. Il lutto travolge Rimini, città dalla quale proveniva la maggior parte dei marinai a bordo. Da allora sono passati 25 anni. L’indagine della Procura di Rimini nel 1999 si è conclusa con un’archiviazione: nessun colpevole. Ma l’episodio ha alimentato comunque il dibattito sulla sicurezza in mare.
Le ricerche del Sar
«Sì, la tragedia del Parsifal diede un forte impulso al dibattito sulla sicurezza in mare. Non si poteva più dire che si trattava di velisti improvvisati, come in passato era successo. A bordo della barca di Rao Torres c’era gente molto preparata. Non si poteva archiviare tutto con sufficienza. Per questo negli anni a seguire sono stati fatti molti passi in avanti al punto che oggi in una situazione simile è molto probabile che si salverebbero tutti». A parlare è Umberto Verna, direttore del Centro studi per la sicurezza in mare “I ragazzi del Parsifal” nato quasi subito dopo il triste episodio del novembre 1995. «Sono stati fatti tanti progressi: basti pensare al servizio Sar (ricerca e soccorso)… Ma la materia è in continua evoluzione e il diportista deve sempre ricordarsi che deve essere un marinaio. Si può avere a bordo tutta la tecnologia che si vuole ma ci deve essere sempre un marinaio in grado di utilizzare gli strumenti che ha a disposizione».


Il ricordo dell’amico di Pedulli
Luca Oriani, attuale direttore del Giornale della vela, era amico di Luciano Pedulli e con lui aveva realizzato articoli, inchieste e persino una collana di libri sul mare. «Luciano era una persona con una enorme passione per il mare e assolutamente attenta alla sicurezza e alla meteorologia. I suoi scritti sono una testimonianza che resterà nel tempo».
Cosa è cambiato da allora? «È evidente che ci si è resi conto di alcune cose. La prima è che le barche vanno classificate. La barca cosiddetta da “altomare” deve rispondere a determinati criteri di sicurezza. La seconda è che quando prima della partenza di una regata si prevedono condizioni proibitive non si deve partire. L’insegnamento del Fastnet del ’79 (15 morti) e del Parsifal ha portato recentemente al posticipo della partenza anche di regate oceaniche come la Mini Transat (e di recente anche di regate meno impegnative come la Barcolana, ndr). Non solo, ma in Mediterraneo anche gli organizzatori hanno capito che certe regate d’altura è meglio farle in altri periodi dell’anno. Più in generale, rispetto al passato c’è anche una diversa concezione etico filosofica… più ecologista, se vogliamo: in mare non si va per sfidarlo ma la natura va in qualche modo assecondata. Questa è sempre stata anche una lezione di Luciano, una persona che cercava di prevedere, una persona rispettosa del mare».
“Non si parte a tutti i costi»
«Non si è meno uomini se quando si va in mare non si spacca tutto», sintetizza Fabio Pozzo, giornalista e scrittore di libri di mare (tra questi due sul cervese Simone Bianchetti e uno su Cino Ricci). «Dalla tragedia del Parsifal tre cose sono cambiate. La prima: i bollettini meteo sono migliorati e abbiamo imparato a tenerne conto in misura maggiore. La seconda: sulle dotazioni di sicurezza si è posta una maggiore attenzione all’efficienza e al posizionamento a bordo. La terza riguarda la clausola sulla responsabilità degli skipper: oggi si è meno propensi a fare partire a tutti i costi. Anche i francesi hanno rimandato la partenza di alcune regate a causa delle condizioni meteo».
Anche Cino Ricci, skipper di Azzurra in America’s Cup, e protagonista di tante regate internazionali compresa la tragica regata del Fastnet del 1979, è convinto che le due tragedie abbiano stimolato il il dibattito sulla sicurezza in mare. «Rispetto a quel periodo tutto è migliorato: dalle riserve di galleggiamento delle barche all’abbigliamento che ti tiene caldo anche se finisci in acqua, ai telefoni satellitari… Per quanto mi riguarda preferirei avere due zattere ognuna delle quali ospita metà equipaggio anziché una. Quando ci si trova in condizioni difficili non è detto che tutto funzioni. Al Parsifal la zattera volò via, al Fastnet si ruppero molte zattere. Certo che però, quando una barca va a fondo rapidamente si può fare poco»…
In regata oggi norme rigidissime
«Quella del Parsifal», spiega il direttore della rivista Bolina Alberto Casti, «è stata la più grande tragedia che ha coinvolto una barca da diporto in Italia. Credo sia stato uno dei momenti che ha dato più impulso all’incremento delle misure di sicurezza. Oggi, nell’ambito delle regate, ci sono norme rigidissime: norme di costruzione, verifica della stabilità, equipaggiamento di sicurezza, strumentazione, ecc. Altra cosa a cui abbiamo assistito e che io reputo giusto è il posticipo della partenza in caso di meteo avverso. Non ci si butta allo sbaraglio pensando che tanto poi ti vengono a salvare! Resta l’amara considerazione che nel ’95 dal momento in cui l’Epirb lanciò il segnale al momento in cui furono recuperati i superstiti passò troppo tempo».


Morte all’imboccatura
Nuove tecnologie, nuovi materiali, nuove conoscenze. Il tema della sicurezza in mare si arricchisce ogni anno di nuovi capitoli. Gli esperti come Verna invitano a non fermarsi. Il pericolo è sempre in agguato. Si può morire a pochi metri dal porto di Rimini ed essere salvati in mezzo all’oceano Atlantico dopo aver abbandonato la barca. Nell’aprile del 2017 una barca a vela di 50 piedi che cercava di trovare riparo da condizioni di mare difficili si andò a schiantare sulla scogliera all’ingresso del porto di Rimini: quattro persone su sei morirono. Due mesi dopo, in Atlantico, il velista solitario forlivese Michele Zambelli durante la regata Ostar abbandonò la barca dopo una collisione: in sei ore fu raccolto dal Sar canadese nonostante si trovasse a 350 miglia dalla terraferma. Due casi limite che fanno riflettere.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui