Valido l’accertamento basato su prove irritualmente acquisite

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C on l’ordinanza n. 18901.21, emessa il 23 febbraio 2021 e depositata ieri, 5 luglio 2021, la Corte di Cassazione rafforza il proprio orientamento in ordine alla utilizzabilità, ai fini di un accertamento fiscale, di materiale probatorio irritualmente acquisito. In particolare, i giudici di vertice hanno ribadito che è legittima l’utilizzazione in sede di accertamento tributario di qualsiasi elemento, valutabile quale elemento indiziario, benché sia stato acquisito in modo irrituale, attenendo l’interesse all’accertamento di violazioni fiscali relative a redditi sottratti a tassazione al principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione. Secondo la Cassazione, infatti, la mera irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento non comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, difettando nel procedimento tributario una specifica previsione quale quella contenuta nell’art. 191 del codice procedura penale, a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate”. Secondo la Suprema Corte il principio in richiamo sarebbe corroborato dalla considerazione che nel processo civile le prove atipiche sono sempre ammissibili, ancorché assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio. È stata dunque respinta l’eccezione mossa dai contribuenti che lamentavano il fatto che gli accertamenti emessi a loro carico fossero stati fondati sulla cosiddetta Lista Vaduz, ossia, su un elenco di correntisti illecitamente sottratto da un dipendente di un istituto di credito del Liechtenstein, acquisito dalle autorità fiscali tedesche e trasmesso ad altri Paesi dell’Unione europea, per poi giungere in Italia, nell’ambito delle procedure previste dal c.d. scambio d’informazioni, ai sensi dell’art. 26 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni.

In pratica, secondo la Suprema Corte il fatto che detta lista fosse stata indebitamente sottratta al relativo istituto bancario non ne impediva l’utilizzabilità ai fini fiscali, prevalendo, in una simile fattispecie, il rispetto del principio della capacità contributiva, che, per l’appunto, consente di ricondurre a tassazione redditi sottratti a tassazione, sebbene l’esistenza degli stessi emerga attraverso una condotta contraria alla legge (il riferimento è alla sottrazione dei dati da parte del dipendente della Banca del Liechtenstein).

Ad avviso di chi scrive l’insegnamento in richiamo, sebbene, come detto, ormai consolidato, desta più di una perplessità, tant’è vero che ha incontrato forti critiche tra gli studiosi del diritto tributario, e, più in generale, tra gli addetti ai lavori. Non resta che augurarsi che le Sezioni Unite, pronunciandosi a seguito della ordinanza interlocutoria n. 10664 del 22 aprile 2021, di cui ha parlato il Collega Avv. Paolo Ghiselli nell’articolo pubblicato lo scorso 30 giugno, possano modificare, almeno in parte, l’orientamento in esame, attribuendo maggiore tutela alle garanzie procedurali sulle quali ogni contribuente dovrebbe poter fare affidamento, non apparendo corretto, dal punto di vista giuridico, basare contestazioni di carattere fiscale su documenti ed elementi illegittimamente acquisiti.

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