Valerio Binasco al Goldoni di Bagnacavallo con "Dulan la sposa"
Nasce come dramma radiofonico “Dulan la sposa”, in scena oggi e domani (ore 21) al teatro Goldoni di Bagnacavallo per la regia di Valerio Binasco.
Tratto da un testo di Melania Mazzucco, premiato al 53° Prix Italia come miglior radiodramma dell’anno, la produzione del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale dà un volto e un corpo ai personaggi interpretati dallo stesso Binasco e da Mariangela Granelli, una coppia di novelli sposi non più giovani che si è data una seconda possibilità matrimoniale. Fra loro, una ragazza straniera, clandestina (Cristina Parku), oggetto del desiderio e alla fine della violenza dell’uomo. Dopo tanto teatro classico, Valerio Binasco si dedica a un testo contemporaneo.
«Le dinamiche che ti portano verso una scelta sono sempre un po’… di pancia. I classici hanno il merito di raccontare storie contemporanee un po’ come fossero favole, con una portata universale. Il teatro di oggi invece ha una sua rigidità, e ci induce a pensare semmai alla peculiarità di quanto rappresenta».
E in questo caso?
«“Dulan” parla di razzismo, di colonialismo sessuale, ma soprattutto di violenza domestica, ma il teatro, che non giudica, è in grado di andare “dietro” un articolo di cronaca raccapricciante, facendoci incontrare a volte nei colpevoli persone molto più simili a noi di quello che vorremmo».Lei parla del personaggio del marito.
«In realtà, tutti e tre sono in trappola, e per uscirne uno di loro compie una violenza inammissibile. La cronaca conferisce freddezza a fatti di questo genere, sul palco invece si racconta l’umanità, con le sue tragedie e il suo dolore, e di “come” avviene una violenza in un appartamento normale, i cui abitanti hanno perso però ogni forma di orientamento. Si percepisce subito infatti che in quella coppia c’è qualcosa di storto, di sbagliato, e che le parole “sposa”, “famiglia” sono i termini di un rito celebrato dai due. A queste si aggiunge la parola “amore”: un amore malato, possessivo, ossessivo, che investe l’uomo ma anche la sua vittima».In che senso?
«Se lui vuole possedere la ragazza in esclusiva, lei vuole diventare “la” sposa, e buttare fuori l’altra… Nel ritmo veloce della pièce, la giovane straniera appare subito, e il flash back ci permette di rivivere i suoi giorni fino alla tragica conclusione».Parliamo di temi molto duri.
«Quando si entra nella dimensione della malattia, l’angoscia, la furia, lo squilibrio ma anche la paura si impadroniscono di noi, e salta qualsiasi discorso di responsabilità. Sia chiaro: non assolvo, ma da artista comprendo chi cerca una via d’uscita da una trappola, ma trova inevitabilmente il delirio».Non deve essere semplice impersonare un carattere e una storia di questo genere.
«Nel personaggio convivono aspetti contraddittori: è pieno di bisogni, è infantile ma anche capriccioso, violento e squallido. Una compresenza del genere si riesce a realizzare solo con un enorme sforzo di concentrazione, per rendere credibile l’universo psichico devastato di quell’uomo. Il mio teatro del resto è molto emotivo: gli attori devono intrufolarsi nell’anima dei personaggi, con attenzione e disponibilità alla sofferenza, per regalare loro con la massima generosità tutti i connotati, la mostruosità ma anche la ferita da cui il mostro è uscito. Il che implica portare in scena anche le nostre contraddizioni. E i luoghi oscuri che abbiamo dentro di noi».Incontro con il pubblico: 10 dicembre (ore 18) nel ridotto a ingresso libero. Biglietti: 28-18 euro.
Info: 0546 21306
www.accademiaperduta.it