Uno spettacolo per Gino Pagliarani nel centanario della nascita

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Portato in scena dalla compagnia Fratelli di Taglia nel Giorno della memoria, lo spettacolo Amore senza vocabolario, con le voci narranti di Daniele Dainelli e Patrizia Signorini, dai Racconti del Lager 1943-1945, ha ricordato a cento anni dalla nascita la figura di Luigi (Gino) Pagliarani (1922-2001).

Pagliarani fu tra gli ispiratori – insieme a Federico Fellini e Sergio Zavoli – del movimento culturale riminese nell’immediato dopoguerra. Psicologo e giornalista, fu il padre fondatore della psicosocioanalisi italiana. Sposò la psicologa svizzera Maria Zanetta, stabilendosi nel Canton Ticino, non lontano da Milano dove svolgeva principalmente la sua attività professionale.

«Nel suo diario Gino preferisce parlare di ciò che la guerra gli ha insegnato» ricorda la consorte. «È diventato pacifista ma commette il grande errore di pensare un pacifismo passivo. L’elaborazione della conflittualità individuale e di gruppo deve essere la preoccupazione costante dell’individuo che cerca di dare un senso alla vita e alla pace».

Dainelli, a cosa si deve la scelta di portare in scena questi racconti, e a cosa voleva alludere precisamente Pagliarani con questo titolo?

«Quando una trentina di anni fa mio zio Gino mi inviò la prima stesura di Amore senza vocabolario ne fui immediatamente colpito per la crudezza degli argomenti trattati e raccontati con una sorta di “ironia romagnola” che li rendeva, oltre che accessibili a tutti, ancora più toccanti. Mi colpì anche la traccia narrativa che di per sé era già una sorta di copione teatrale, e soprattutto il messaggio in cui l’amore viene dichiarato arma contro ogni crudeltà. L’amore diventato vessillo della filosofia, della psicologia, è elemento risolutivo e topos del pensiero di Gino. Amore che sboccia anche all’interno di un campo di concentramento tra un romagnolo e una ragazza russa che, pur senza un vocabolario comune, riescono, usando le poche parole tedesche imparate e grazie a qualche disegno, a esprimere. L’uno nei confronti dell’altra. Immediatamente mi sono reso conto come questo pensiero e questo linguaggio potessero arrivare dritto al cuore e alla mente degli spettatori, specie dei più giovani».

Cosa significa, attraverso lo strumento del teatro, essere contro la guerra?

«Nulla come il teatro può essere in grado di suscitare emozioni, e all’emozione segue una riflessione e alle nuove generazioni che non hanno vissuto la guerra mondiale neppure nei racconti diretti come la nostra generazione vogliamo soprattutto indirizzare ogni riflessione. Acquistare consapevolezza verso una cosa fino a ora elaborata solo in maniera ludica nei videogiochi o nei giochi della guerra, perché, come dice Brecht nella poesia «i bambini giocano alla guerra perché gli adulti da sempre fanno la guerra...» e non la pace, perché pace «è non avere fame, non avere freddo, non avere paura...».

A Mario Pagliarani, figlio di Gino, abbiamo chiesto: in che modo Luigi Pagliarani si collocò accanto a Fellini e Zavoli?

«Rientrato dalla Germania dopo due anni di campo di concentramento, incominciò subito a interessarsi della situazione di Rimini aderendo al Partito Comunista. Divenne presidente dell’Azienda di Soggiorno svolgendo un lavoro innovativo nel campo del turismo che cambiò radicalmente l’immagine di Rimini. Poi a metà degli anni Cinquanta lasciò la città per diventare giornalista dell’ Unità, prima a Modena e poi a Milano».

Perché fu il padre della psicosocioanalisi italiana?

«Intorno agli anni Sessanta Pagliarani entrò in contatto con la psicoanalisi e decise di diventare psicoterapeuta. Scoprì il pensiero di Jacques che in Inghilterra aveva cominciato a praticare la socioanalisi e lo fece conoscere in Italia. La psicosocioanalisi è la sintesi naturale delle due passioni di Pagliarani: la psiche e la politica ed è anche figlia dell’esperienza cruciale della guerra. Negli anni Ottanta, Pagliarani fondò a Milano la scuola di psicosocioanalisi “Ariele” tuttora attiva».

Come porta avanti l’eredità del suo pensiero la Fondazione Luigi (Gino) Pagliarani, anche con progetti come quello dell’Archivio di Gino?

«La Fondazione nasce all’indomani della morte di Pagliarani nel 2001, per dar seguito alla sua richiesta di valorizzare i numerosi scritti rimasti inediti. In questi anni sono state portate avanti varie iniziative tra cui la rivista L’educazione sentimentale. Obiettivo principale è la cura e la gestione dell’Archivio di Gino, attualmente collocato a Mendrisio, in Svizzera, dove Pagliarani visse a partire dagli anni Sessanta. Il suo pensiero risulta quanto mai attuale, in particolare la sua riflessione circa l’elaborazione del conflitto come condizione necessaria per il mantenimento della pace».

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