Un ravennate in Russia: Putin criticato ma ha ancora consenso

«La Russia ormai è casa per me, amo questo paese e posso parlare solo bene di un popolo che mi accolto benissimo e arricchito tanto culturalmente, ma vi chiedo una cortesia: di poterlo fare in anonimato». A rispondere dall’altro lato del telefono è un professionista ravennate 40enne, da circa 10 anni a San Pietroburgo, dove vive con la moglie russa. Il nome è meglio ometterlo. Perché in Russia la libertà di parola non esiste e ancora meno in questi giorni, dove ogni dissenso viene duramente represso. Ma ad essere libere sono le parole del 40enne ravennate che racconta il conflitto ucraino da una prospettiva inedita e, per certi versi, dissonante rispetto alla narrazione della stampa occidentale.

Che clima si respira in Russia in queste ore? Le sue giornate sono cambiate?

«Nella quotidianità non è cambiato nulla: io vado a lavorare, mio figlio a scuola. Ma siamo tutti preoccupati e tesi, non sappiamo cosa accadrà, e da canali ufficiosi vicini al governo arrivano notizie su un prolungamento del conflitto oltre quanto previsto. Io devo capire come muovermi, tenendo conto che con il mio studio di professionista mantengo diverse famiglie».

Sui nostri media si moltiplicano le immagini di persone in fila ai bancomat nelle città russe per ritirare contante: si temono conseguenze sociali a causa delle sanzioni?

«Non capisco da dove arrivino le foto delle file agli sportelli: la gente sta ritirando contante, ma non ho visto scene di panico. Non è detto che si possano ritirare euro, ma si può fare domanda di prenotazione. È vero che nei primi giorni c’è stato allarmismo, molti ricordavano il ‘92 e la fine dell’Unione Sovietica: insomma, era già capitato che le banche chiudessero dall’oggi al domani e il primo pensiero è stato recuperare il proprio denaro. Ma di file non ne vedo. Anche i supermercati sono riforniti. Le sanzioni non stanno picchiando come si potrebbe pensare».

Che percezione ha il popolo russo di questo conflitto? C'è qualcosa, un concetto o un aspetto, che ritiene non sia preso in considerazione dalla stampa e dall'opinione pubblica italiana?

«La maggior parte dei russi è critica verso questa guerra, ma Putin gode ancora di consenso popolare. Nel Paese c’è ancora un forte sentimento nazionalista. So che in Italia sta passando una soluzione interpretativa che vede il presidente russo come un pazzo, ma mi sento di dire che non sia veritiera: non ci sono mai ragioni sufficienti per una guerra, ma il conflitto nasce fondamentalmente da una seria e profonda mancanza di dialogo con la Nato e dalle mancate risposte di quest’ultima alle richieste avanzate da Putin».

In Russia ci si aspettava una sorta di nuova Crimea, un conflitto rapido e meno esteso rispetto a quello che invece si sta consumando in questi giorni?

«Sì, la gente comune ha pensato che si potesse risolvere con una guerra lampo. Ora pare che non sia più possibile, e molto dipende da quale percorso sceglieranno di intraprendere le altre nazioni. Tutti siamo stupiti e shockati, ma va tenuto presente che in Russia la guerra viene concepita come evento possibile, cosa che in Europa non accade più. Questo è frutto di un atteggiamento generalmente fatalista nei confronti della vita: qui lo abbiamo visto anche durante la pandemia».

Quali differenze e quali similitudini tra Russia e Italia?

«Quando sono arrivato, sono entrato in contatto con una cultura completamente diversa dalla nostra, che ha cambiato i miei punti di vista e i modi di vivere e di affrontare la mia professione. I russi sono persone che a prima vista sembrano distanti, ma se per qualche ragione vieni introdotto tra loro e ne diventi amico, allora si rivelano calorosissimi. Un po’ come noi italiani. Inoltre sono persone generose e tendono a fidarsi molto degli altri: se un russo venisse a Ravenna non credo che avrebbe le stesse possibilità che ho avuto io nel mio campo professionale».

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