Un ravennate alla guida dei tedeschi

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Enrico Onofri è dal 29 giugno il nuovo direttore associato della Münchener Kammerorchester (Mko), insieme a Joerg Widmann e Bas Wiegers. La nomina triennale, annunciata in occasione della presentazione della stagione concertistica 2022/2023 dell’orchestra tedesca, si aggiunge a quella di direttore principale della Filarmonica Toscanini di Parma, di direttore ospite principale della Haydn Philharmonie Eisenstadt e direttore associato dell’Orchestra Nazionale d’Auvergne.

L’affermato violinista e direttore ravennate (ma vive a San Leo) porterà in orchestra la sua raffinata esperienza nel campo dell’esecuzione storicamente informata che gli è valsa nel 2019 il Premio Abbiati come miglior solista dell’anno.

Dopo gli inizi sotto la guida di grandi maestri come Jordi Savall e Nikolaus Harnoncourt, Onofri è stato dal 1987 al 2010 concertmaster e solista dell’ensemble Il Giardino Armonico. Nel 2002 è cominciata la sua carriera come direttore, riscuotendo successo di pubblico e critica e ricevendo inviti da orchestre, festival e teatri d’opera in tutta Europa, Giappone e Canada.

Onofri, perché ha definito «l’amore per il dettaglio» la chiave per trovare nell’espressione musicale «il più ampio respiro e la massima espressione possibile»?

«L’attenzione agli aspetti più intimi e minuti dell’arte è fondamentale, ma può facilmente restare fine a se stessa se non si alza lo sguardo. In particolare per quelle partiture che parlano di complessità attraverso il contrappunto o l’imitazione della parola e del canto, o quelle in cui – come nel caso del repertorio novecentesco e contemporaneo – la complessità è tale da non poter essere affrontata senza partire proprio dal dettaglio».

In che maniera compirà con i musicisti bavaresi «un viaggio di scoperte, un percorso attraverso i secoli con una prospettiva storica da Mozart a Berio e Ligeti»?

«La Mko ama mescolare lavori contemporanei o del Novecento ad opere del passato. Il mio ruolo sarà quello di scovare connessioni, cortocircuiti, analogie, ma anche antitesi. E lo farò partendo sempre dal repertorio più antico, focalizzandone certe caratteristiche, per ritrovarne poi le tracce in quello successivo. Nei prossimi programmi, ad esempio, esploreremo il senso della “partenza”, intesa nella doppia accezione dell'abbandonare un luogo e di cominciare un nuovo cammino. In uno dei concerti della prossima stagione connetteremo le radici italiane del Classicismo con gli spunti classici, barocchi e addirittura rinascimentali del concerto per violino di Ligeti – eseguito dalla magnifica Isabelle Faust – passando attraverso la Sinfonia 39 di Mozart, che dal punto di vista stilistico è un addio al secolo che sta per finire. Oppure, più giocosamente, accosteremo i Folk Songs di Berio, in cui il tema dell’errare, del partire e del cercare è costante, con alcune Marce di Mozart e con la sua serenata “Cornetto da posta”».

Quindi in piena sintonia con i programmi orchestrali all’insegna dell’equilibrio tra tradizione e innovazione della Mko?

«È così. Ciò asseconda il mio amore per alcuni compositori del Novecento che hanno trovato le radici per la loro musica nel passato, ispirandosi in certi casi al secolo dei lumi, ad esempio Stravinsky. Ma asseconda anche il mio amore per la scoperta di nuova musica e per il piacere di darle vita: avere a fianco il compositore di un brano mentre lo si lavora con l’orchestra è un’esperienza profonda e significativa, che permette di ripensare il nostro rapporto di interpreti coi compositori anche del passato».

Lei ha sottolineato come sia considerevolmente cambiato il volto, l’approccio, musicale e musicologico, alle fonti, al reportorio e agli strumenti dell’historical performance, anche dal punto di vista della carriera direttoriale. Ma non ha mancato di rimarcare il grave problema rappresentato dalla carenza di educazione musicale di base… Come porre rimedio?

«Non posso che ripetere quello che vado dicendo da anni: portate i bambini ai concerti, spiegate loro cosa stanno ascoltando, per grado, con calma, ma senza “rendergliela facile” banalizzando. Certi tentativi di stereotipata divulgazione “da discount” fatti dai media, poi, falsano anche la percezione degli adulti che si avvicinano. La musica è la lingua degli dei, ma ogni dio parla il suo dialetto ed è difficile comprenderli: se fin da piccine si da alle persone la chiave per leggere questo o quel linguaggio, quale che sia, si schiuderà loro una vita in cui gli dei raccontano loro storie, poesie, aiutandoli così a respirare diversamente il mondo e a divenire pieni ma leggeri».

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