Un atlante letterario delle isole e dei mari

Siamo solo a maggio, ma sulle banchine romagnole c’è già una diffusa, struggente, nostalgia d’isole. Non è quella nebbiosa dell’autunno o quella gelida dell’inverno, è una nostalgia solare, inimmaginabile, dolce come la brezza che invita a sciogliere le vele e mettere la prua a oriente, verso le isole. Quelle istriane e dalmate che rischiamo di non poter raggiungere quest’estate, a causa di una pandemia che restringe anche gli orizzonti marini.
L’isola del cuore
Non c’è marinaio romagnolo che non abbia la sua isola del cuore, dall’altra parte del mare.
C’è chi preferisce scogli inospitali, battuti dalle onde come San Giovanni in Pelago o la Gagliola, magari solo da girare in un’andata e ritorno senza scalo che ha il sapore della vela d’altura. Chi invece ama approdare nelle verdi isole del Quarnero: Sansego cara a Dioniso per le sue viti, Unie fedele ad Atene per i suoi ulivi, Arbe l’isola dei santi, Cherso e Lussino sacre agli argonauti o quei due piccoli, amorevoli gioiellini che sono San Pietro ai Nembi e Asinello. Poche miglia più a sud ci sono le isole foranee: un arcipelago nell’arcipelago, decine di isole piccole e grandi, dalla selvaggia Premuda alla bucolica Isola Lunga. Bastioni che proteggono la bianca città di Zara. Siamo così arrivati alle lunari, deserte isole Incoronate. Queste sono lacrime degli dei, un monile d’ambra, arcaico e luminoso. Ancora verso mezzogiorno, altre piccole isole a protezione di Sebenico, città natale di Nicolò Tommaseo il padre del primo dizionario italiano, seguite dalle nobili, ricche isole di Spalato: Solta, Brazza, Lesina, Curzola, Lastovo, Meleda, le ammiraglie della flotta immobile di Venezia, prendendo a prestito le parole di Fernand Braudel.
Un flotta adriatica che si conclude nelle piccole Elafiti, tanto amate da Predrag Matvejevic, legate a Ragusa, secondo alcuni la quinta repubblica marinara italiana, almeno per cultura.
Un orizzonte più ampio
Per provare a stemperare questa nostalgia d’isole forse irraggiungibili, c’è “Isolitudini. Atlante letterario delle isole e dei mari” (La nave di Teseo, pp 492, 23 euro) di Massimo Onofri. Va subito detto che non troverete nessuna delle isole orientali adriatiche e nemmeno quelle altrettanto affascinanti delle lagune di Grado e Venezia o le Tremiti. Sono assenti perché da sole meriteranno un secondo volume, così scopriamo in una intervista all’autore di qualche mese fa.
“Isolitudini” è un libro importante per tutti i marinai che cercano un orizzonte più ampio di quello geografico. Isole lontane, “poco importa se distanti poche miglia da una costa molto abitata – in commercio ineludibile con la solitudine: patita, forse, da coloro che sono costretti a viverci da prigionieri, ma anelata da chi, invece, vorrebbe trovare requie, sciogliere gli ormeggi d’una greve e affollata quotidianità”.
Le prime pagine sono dedicate a Lawrence Durrell, scrittore britannico innamorato delle isole mediterranee a partire da Corfù, il bastione veneziano posto a difesa dell’Adriatico, dove si trasferisce nel 1935 a 23 anni con la famiglia e scopre la meraviglia di quelle “giornate azzurre, limpide e senza vento che soltanto la Grecia, di tutti i paesi del mondo, sa offrire”.
Sarà lo stesso Durrell a convincere un altro grande scrittore, Henry Miller a imbarcarsi nel 1939 a Marsiglia per raggiungere il Pireo e di lì ripartire per Corfù. Anche lui venne folgorato da quel paesaggio idilliaco: “Dal mare, come se Omero in persona si fosse dato da fare per me, sbucavano le isole, solitarie, deserte, misteriose nella luce morente. Di più non potevo chiedere, e non volevo niente di più. Sapevo anche che forse non mi sarebbe più accaduto di averlo.”.
Il viaggio narrativo
Il racconto di Onofri segue le isole ioniche, per poi giungere in Egeo o nell’Arcipelago, come veniva chiamato un tempo, e concludere a Malta la prima parte mediterranea. Segue una lunga narrazione oceanica, dedicata a isole che sono piccoli continenti, il Madagascar, o appena visibili “dentro uno sconfinato nulla d’acque da cui è impossibile fuggire”, Sant’Elena, ultimo esilio di Napoleone. Tra le tante microstorie appassionanti c’è quella del geografo e scrittore Eugenio Turri, autore tra gli altri di una monumentale trilogia dedicata all’Adriatico. Lo troviamo nel 1962 sull’isola di Maurizio, sulle tracce di un più antico viaggiatore: Bernardin de Saint-Pierre.
Nell’ultima parte del libro si torna in Mediterraneo, dallo stretto di Gibilterra fino alle isole italiane, incominciando da Bergeggi o Sant’Eugenio, isolotto del Ponente ligure. Un viaggio che si conclude con la più effimera delle isole, la Ferdinandea, uno scoglio vulcanico apparso e scomparso nel volgere di qualche mese nel 1831, trenta chilometri a sud di Sciacca.
“Non sono andato, di mare in mare, di isola in isola, di gente in gente … Ho viaggiato tanto, questo è certo, ma solo per rimanere il più a lungo possibile serrato in casa , con gli occhi chiusi e il dito puntato sopra un atlante”, scrive alla fine Massimo Onofri.
Anche noi, almeno per il momento, siamo costretti a fare esercizio di fantasia, srotolando una carta nautica della riva orientale dello Jadransko more, aprendo il volume 6 del Portolano del Mediterraneo, interamente dedicato ai nostri sogni d’isole istriane, dalmate, montenegrine. Buon vento! Dobar vjetar!

Fabio Fiori (marinaio e scrittore) di isole italiane scrive da anni sul mensile Bolina e alle stesse sta dedicando un nuovo libro che uscirà l’anno prossimo

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