Umberto Molineris: "Luna Rossa era vicina al successo"

Arrivare così vicini alla Coppa America da un lato riempie di soddisfazione, dall’altro fa male perché nei 170 anni di storia del trofeo sportivo più antico, l’Italia non è mai stata così in alto. Umberto Molineris, 30 anni, è cresciuto al Circolo Velico Ravennate. In queste regate, unico romagnolo sulla barca, è stato grinder e trimmer della vela di prua.

Umberto, il bilancio di questa avventura non può non essere positivo.

«Sì. Ovviamente l’obiettivo era vincere la Coppa America e quindi da un lato siamo un po’ delusi perché a nessuno piace perdere. Ma se dobbiamo fare un bilancio siamo molto contenti di come ha lavorato il team in questi anni e soprattutto di come abbiamo affrontato questi mesi di regate. Soprattutto penso a come abbiamo disputato l’America’s Cup… Pur passando attraverso delle difficoltà siamo riusciti a reagire sempre e a sviluppare la barca senza mai smettere. Siamo arrivati alla finale avendo sfruttato al massimo le sue potenzialità grazie all’ottimo lavoro dei designer e dello shore team ma anche di noi in acqua. Abbiamo cominciato la finale di Coppa America sapendo che i kiwi potevano avere un po’ di margine di performance e di velocità ma nei primi giorni abbiamo visto che partendo davanti era possibile batterli».


Cosa hanno avuto in più?


«Avremo tempo di analizzare tutto e fare un bilancio ma a freddo direi che noi abbiamo raggiunto il massimo del potenziale della nostra barca mentre loro, non avendo regatato, non lo avevano ancora raggiunto. Quella dei kiwi nelle ultime due giornate era una barca abbastanza superiore in termini di performance. La regata di martedì è stata emblematica. Su dieci scelte ne abbiamo fatte nove giuste e l’unica che abbiamo sbagliato l’abbiamo pagata un sacco. Loro facevano un errore e non perdevano quasi niente. Invece noi al primo errore abbiamo perso 400 metri. Così diventa difficile: deve impostare una regata sulla difensiva. E’ vero sono i campioni e non devi sbagliare niente ma resta il fatto che erano un po’ più veloci».


Rispetto alle regate di Prada Cup avete modificato la barca per essere più competitivi col vento medio forte e in questo modo avete perso qualcosa nelle performance con vento medio leggero?


«Abbiamo fatto qualche cambiamento prima della finale di Prada Cup e tra la finale di Prada e la finale di America’s Cup. Abbiamo provato a fare qualche modifica, a esplorare e migliorare nel range alto di vento (conoscendo un po’ i nostri avversari…). Ma poi in realtà siamo rimasti fedeli alle nostre scelte e non abbiamo cambiato quasi niente, solo qualche piccola miglioria. La barca era più o meno la stessa delle finali di Prada Cup. Ovviamente noi siamo migliorati tanto, ma non direi che abbiamo tolto un po’ di performance alla barca nel poco vento: è rimasta quella. Al contrario abbiamo cambiato un po’ il modo di portarla e abbiamo visto che la barca andava sempre meglio, l’abbiamo spremuta al massimo. In America’s Cup abbiamo trovato degli avversari che hanno sviluppato una barca più veloce. Gli inglesi invece erano più aggressivi e temibili nelle partenze e nei corpo a corpo».


La scelta di una barca adatta al vento medio leggero è stata giusta.


«Quello che i nostri esperti avevano immaginato e la direzione nella quale è andato il progetto della barca era il vento medio leggero e alla fine così è stato. Da questo punto di vista abbiamo azzeccato tutto. Ma poi è tutto difficile. Per vincere la Coppa America devi essere competitivo in tutti i range di vento. Il defender forse si può sbilanciare un po’ di più perché corre solo in dieci giorni. Un challenger deve avere un range di vento più ampio perchè prima della Coppa America deve battere gli altri sfidanti e abbiamo dovuto regatare lungo due mesi con condizioni diverse».


Resta il risultato storico.


«Ovviamente fa piacere. Ma da un lato fa ancora più male perché eravamo molto vicini al successo».

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