Ulisse assolto al processo di San Mauro Pascoli

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Ulisse è ancora “uno di noi”, è ancora un mito fondante a cui possiamo guardare con ammirazione per la voglia di conoscere, di sapere, di fare scelte libere. Lo ha stabilito la giuria popolare del processo all’imputato Ulisse, nel 22° tribunale del 10 agosto di Sammauroindustria a Villa Torlonia; “Processo a Ulisse” ha assolto pienamente l’eroe di Omero, 375 i voti a favore, 226 i contrari, ha annunciato Gianfranco Miro Gori presidente del tribunale. Il verdetto è stato accolto anche da alcuni “buh, buh” da parte dei giurati accusatori. La protesta, che ha dissentito giocosamente dalla sentenza per alzata di palette contate a vista, si deve alla bella arringa elaborata dall’accusatore Mauro Bonazzi. «È difficile accusare colui che una tradizione unanime esalta da secoli come fondatore della nostra civiltà – ha esordito Bonazzi – ma la celebrazione di questo personaggio è il risultato di una lenta opera di mistificazione, di una alterazione dei fatti che ha deformato la vera storia di un protagonista che ha abbindolato con scuse improbabili».

Il professore di storia della filosofia antica ha demolito il mito Ulisse con una interpretazione moderna, anche ironica di Ulisse nell’Odissea di Omero. Come quando sta per anni sull’isola con la ninfa Calipso, dove «piange di giorno (pensando alla sua Itaca) e fa l’amore di sera, “chiagne e fotte”!». Colpevole di non avere salvato i suoi compagni che a lui si erano affidati: «Erano 200 e torna solo, quale eroe pensa solo a se stesso? Entra nella tetra grotta di Polifemo da cui i compagni vorrebbero fuggire, e causa il massacro di 6 di loro. Non è stato capace di proteggerli ma scarica la colpa su di loro. Così come quando aprono l’otre dei venti contrari donato da Eolo. E poi – continua – ha impiegato 10 anni per compiere un viaggio che avrebbe richiesto non più di 15 giorni! E quando torna a casa provoca una mattanza contro i 108 proci molti dei quali persone per bene. Lo fa per vendetta, come un regolamento fra clan mafiosi. Ulisse incarna i nostri istinti peggiori».

Il mito di “virtute e canoscenza” nasce per Bonazzi dalla fantasia di Dante, che non farebbe riferimento a Omero, ma alla filosofia di Aristotele. La difesa di Giulio Guidorizzi ha ripercorso l’umanità dell’uomo nel mito. «Sono qui a difendere non Ulisse, ma tutti noi – ha esordito il grecista –. Se siamo tali lo dobbiamo a personaggi come Ulisse, rappresentativo dei nostri difetti, virtù, di voglia di essere noi stessi». Il professore lo ha celebrato come dotato di ragione per controbattere al concetto di egoismo dell’accusa; al fatto che la morte dei compagni è avvenuta per stoltezza, non perché Ulisse non li abbia protetti. «Non era un egoista, aveva l’intelligenza che lo rendeva capace di sedurre, di entrare nell’anima degli altri. Sapeva comunicare con la parola e aveva sete di conoscenza. I greci non avevano la religione, avevano il mito, cosa sarebbe la cultura greca e nostra se non avessimo il mito e gli eroi al centro del mito? Non esisterebbe la filosofia come ricerca dell’uomo che scopre le sue verità. Assolvendo Ulisse assolveremo noi stessi». E infatti...

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