Uccise moglie malata. La badante: non aveva detto di voler morire

Rimini

Fu un gesto d’amore a spingere Filippo Maini, pensionato riminese, a uccidere la moglie gravemente malata di Alzheimer? L’inchiesta della procura sul delitto di Luisa Bernardini, avvenuto a Rimini il 22 giugno 2020, è agli sgoccioli. Ieri è stata sentita in incidente probatorio la badante ucraina dell’anziana. La donna ha sottolineato che nell’ultimo periodo le condizioni della pensionata erano peggiorate. «Era tornata bambina, incapace di distinguere la realtà dalla fantasia e la vita reale da quello che le scorreva davanti in televisione». La badante ha aggiunto di non averla mai sentita manifestare desideri di morte. Né desideri di altro genere: era per la gran parte del tempo assente, capace di commuoversi solo quando vedeva dei bambini. La testimonianza, che entrerà nell’eventuale processo, rafforza nel pubblico ministero Luca Bertuzzi l’idea che la vittima non possa avere espresso un consenso alla sua soppressione. C’è uno scontro in atto tra i consulenti della difesa e della procura sull’interpretazione delle condizioni psichiatriche del marito e sul quadro generale della vicenda. «Dovevo morire anche io con lei» disse Maini, che è difeso dall’avvocato Alessandro Sarti ed è libero con obbligo di dimora a Rimini. L’uomo, intenzionato a uccidersi, aveva anche lasciato un biglietto. «Risparmiateci l’autopsia, tutto è molto chiaro, che abbiamo fatto abuso di benzodiazepine (segue la descrizione dei farmaci assunti ndr). Era diventata una vita di inferno, in un momento di lucidità ha deciso, anche lei, di farla finita. Grazie. Questo è un atto d’amore». Il fatto è che però, “per uno spasimo”, all’ultimo momento, allentò la busta di plastica che si era infilato sulla testa e sopravvisse alla moglie con la quale aveva trascorso insieme più di mezzo secolo. Nelle prime fasi della malattia la donna aveva detto più volte di non volere morire incosciente in un istituto come sua madre, ma nel proprio letto. Secondo il marito anche negli ultimi tempi gli avrebbe ribadito la stessa intenzione. Per il consulente della difesa è una ricostruzione credibile: la signora poteva prestare validamente il consenso alla propria morte, mentre il marito è da considerarsi parzialmente incapace di intendere e di volere. I consulenti dell’accusa, al contrario, dicono che lei non era più in condizioni di prestare un consenso. Il pm resta intenzionato a contestare, in assenza di una volontà cosciente manifesta ed esplicita (impossibile stando al racconto della badante) da parte della vittima, l’accusa più grave. Secondo l’accusa non si trattò di un aiuto al suicidio, né di uccisione di persona consenziente, ma di omicidio volontario.

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