Tutto chiuso per pandemia: le foto di Andrea Bernabini

“Temporarily closed” di Andrea Bernabini è una lettura fotograficamente visuale e visionaria di spazi pubblici (teatri, aule, piscine, palazzetti...) divenuti specchio di solitario abbandono a causa della chiusura forzata imposta dal primo periodo di lockdown.

Il fotografo ravennate offre una descrizione priva di retorica, poetica e silenziosa, di questi da lui definiti «gli unici spazi dove in questo periodo assurdo, ho sentito il mio cuore e il mio corpo al sicuro». Un immaginario fatto di pensieri, sentimenti, fantasie, dove «mi perdo... e trovo la bellezza che spesso mi appaga e che ritrovo anche nel vero», dice Bernabini, artista visivo e sperimentatore di nuove tecnologie, che predilige come media per il suo linguaggio il video e la fotografia da cui proviene per formazione.

Bernabini, si può definire questo lavoro un vero e proprio “day after”della Romagna post pandemia?

«Durante il primo lockdown sono rimasto sconcertato e turbato come tutti per il timore di una situazione in cui l’umanità sembrava non essere in grado di gestire. Ma come artista è sempre viva dentro di me l’attenzione verso quello che investe noi e il nostro vissuto, l’elaborazione di questi elementi provoca in me l’esigenza di esprimermi attraverso i mezzi visivi, lasciando un segno del mio percorso. Ho ritratto tanti luoghi spinto dalla frase in rosso “temporarily closed” che trovavo molto spesso facendo ricerche su Google ed è stata mia intenzione mettere in evidenza un aspetto che caratterizzerà per sempre questo periodo, ascoltando le sensazioni che le esperienze hanno provocato dentro di me. Ho scelto di concentrarmi sulla Romagna, il mio territorio di origine e a cui avevo già dedicato un progetto di videomapping a Ravenna sugli 8 monumenti Unesco».

Poi tutto si è tramutato in quella che lei ha definito la profonda sensazione di vulnerabilità di «quando siamo posti di fronte a spazi vuoti e silenzi che diventano assordanti».

«L’abitudine a essere circondati da suoni, rumori e da un esubero di immagini ha provocato in noi varie forme di dipendenza (social, tv...) alle quali ci siamo col tempo abituati e che, paradossalmente, ci rassicurano perché interrompono il dialogo intimo con noi stessi. Quando ci siamo trovati, quasi di punto in bianco, di fronte ad ambienti vuoti e silenziosi che, perdendo lo scopo di quello spazio, ci hanno spinto a vedere di quel luogo altre possibilità, siamo stati costretti a metterci a nudo, a riflettere e a porci questioni che in tempi “normali” sarebbero state soffocate dalla frenesia».

Lei ha quindi posto al centro la memoria come «processo iconografico», a cui si affida il compito di censire, catalogare, conservare i ricordi e la loro poetica. Lo aveva fatto anche in un precedente lavoro, “Mnesia”.

«Il momento che abbiamo vissuto è stato eccezionale e ho avvertito l’esigenza di non rimanere fermo davanti a questa circostanza, ma di interpretare la situazione affidando anche a queste immagini il valore di memoria e di testimonianza, che sono punti fondamentali della mia poetica visiva. Il mio lavoro più complesso, “Mnesia”, ha come concept la conservazione della memoria collettiva e il suo valore costruttivo come bene comune, allo stesso modo la sistematicità degli scatti che formano “Temporarily closed” catalogano, censiscono, conservano una testimonianza del periodo, facendo assumere al lavoro una valenza collettiva»

www.andreabernabini.it

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