"Uno tsunami, abbiamo dovuto riorganizzare l'ospedale"

FORLI'. La dottoressa forlivese e direttrice del servizio infermieristico dell’Ausl Romagna, Silvia Mambelli è stata chiamata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a raccontare l’esperienza italiana degli operatori sanitari che in queste settimane hanno dovuto affrontare l’emergenza da Covid-19. Una videoconferenza a cui hanno partecipato anche altri rappresentanti della sanità europea e internazionale.
Dottoressa, ha portato la sua testimonianza, e quella di tutti i suoi colleghi impegnati in trincea, che quotidianamente deve affrontare per far fronte al coronavirus direttamente davanti all’Oms e si è dovuta rapportare con altri operatori sanitari di altri paesi. Cosa ha rappresentato per lei questo momento?
«È stata un’esperienza bellissima, soprattutto per me che sono una persona da sempre curiosa e aperta al confronto. In questo caso ho avuto l’opportunità di interfacciarmi con altri colleghi di diversi Paesi. Un’occasione che mi ha arricchito e di grande valore, soprattutto in un momento particolare come questo in cui tutti abbiamo dovuto stravolgere il nostro modo di lavorare. Nessuno era preparato a tutto ciò».
Durante la conferenza cosa è emerso?
«L’Italia e gli altri paesi sono accomunati sostanzialmente da una cosa: tra gli operatori sanitari c’è grande collaborazione e partecipazione, tutti stanno cercando di rispondere al meglio alla domanda di aiuto che arriva durante questa emergenza. Questo virus ha riportato al centro dell’attenzione quanto siano importanti la salute e la prevenzione, fatta di gesti e abitudini che sono andate perse o si davano per scontati».
Come è cambiato il suo lavoro oggi rispetto a quanto accadeva prima dell’emergenza?
«Nonostante oltre quarant’anni di esperienza, trascorsi in vari ruoli di assistenza sanitaria, nulla avrebbe potuto davvero prepararmi per l’emergenza Covid-19 che stiamo affrontando oggi. Il lavoro che facevo poco più di un mese fa sembra appartenere ad un’altra vita. Se in condizioni di normalità si lavorava sulla programmazione e sull’organizzazione, adesso molti schemi sono saltati e rispondere a bisogni urgenti a cui dobbiamo adattarci rapidamente. Sì, ci prepariamo con simulazioni per le maxi-emergenze, ma è tutto diverso con un’epidemia di tipo infettivologico. È stato come uno tsunami che ha comportato una rivisitazione dell’intero sistema. Infatti, la prima sfida è stata la riorganizzazione completa dell’infrastruttura sanitaria, in cui molte unità sono state riproposte per fornire servizi dedicati esclusivamente a Covid-19. Questo era necessario per contenere la diffusione del virus, garantendo al contempo servizi sanitari essenziali».
La seconda?
«La successiva priorità era assicurarsi che gli operatori sanitari avessero i dispositivi di protezione necessari: le giuste maschere, camici, guanti e occhiali. Il problema della carenza di questi strumenti è stata una preoccupazione costante, ma in primo luogo era necessario affrontare la paura di essere infettati. Per questo motivo, fin dall’inizio, abbiamo organizzato un meticoloso addestramento sulla prevenzione delle infezioni, che ha contribuito a combattere la paura crescente tra gli operatori sanitari».
Paure che hanno condizionato per certi aspetti il vostro lavoro ma anche il rapporto con i pazienti?
«Per questo è stato previsto un supporto psicologico, per noi ma anche per i degenti e le loro famiglie. Sono situazioni che hanno un impatto drammatico. In questo momento però chi fa servizio alla persona ha dimostrato di avere grande umanità. C’è collaborazione e rispetto tra infermieri e medici combattono insieme questo virus. L’unione è indispensabile in questo momento, ma mostra anche la strada per il futuro. Tutto ciò allo stesso tempo ha risvegliato il senso della solidarietà, ne sono un esempio le donazioni che arrivano all’ospedale: si è riscoperto il valore della salute e riconosciuto quello degli operatori sanitari impegnati a curare i pazienti».
Che messaggio di speranza vuole lanciare ai forlivesi?
«Resistere. Rispettate quello che viene richiesto di fare, è l’unico modo per tutelare noi stessi e gli altri».

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