Truppe da montagna con una marcia in più

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Oggi si parla di iperspecializzazione del personale dell’esercito, ma l’Italia ci aveva già pensato a fine Ottocento. Gli Alpini, infatti, sono le truppe da montagna che da sempre sono in grado di dare quella marcia in più. Nati il 15 ottobre 1872 a Napoli, con la firma del Regio Decreto di Vittorio Emanuele II, sono il più antico corpo di fanteria da montagna dell’intero pianeta. Il loro compito allora era quello di proteggere i confini delle Alpi, soprattutto quelli dall’Impero Austro Ungarico alla Francia. Nel 1888 la loro prima missione all’estero: in Africa, durante la Guerra di Abissinia. Fu un momento difficile per il corpo, decimati dalle truppe di Menelik II. Poi fu la volta della Campagna di Libia. In Tripolitania e Cirenaica l’ottavo reggimento si adattò ai combattimenti contro i berberi dell’entroterra. Durante la prima guerra mondiale il loro eroismo si contraddistinse sul fronte austriaco: per tre anni gli scontri contro l’Alpenkorps, gli omologhi tedeschi. Il loro impegno è indissolubilmente legato a nomi passati alla storia con le battaglie dell’Ortigara, la disfatta di Caporetto, la resistenza del Monte Grappa e la controffensiva contro gli austriaci ordinata dal generale Armando Diaz. Fu questo il periodo del grande sviluppo del corpo: 88 battaglioni per 311 compagnie, con 240mila uomini impiegati. Nella seconda guerra mondiale il loro impegno fu in diversi teatri di guerra. Tornano in Africa quelli della quinta Divisione Pusteria che partecipano alle battaglie dell’Amba Aradam e dell’Amba Alagi. Il 31 marzo 1936 a Mai Ceu la vittoria sulle truppe dell’imperatore Hailé Selassié. Nel frattempo, sul fronte greco-albanese arrivano le divisioni Cuneese, Tridentina, Pusteria e Alpi Graie a dare man forte alla Julia e bloccare l’avanzata dei greci verso l’Adriatico. Lo scacchiere politico internazionale spinse poi l’Italia a costituire l’Armir, l’ottava armata, e a farla partire sul fronte orientale. Duecentomila uomini (di cui 57mila alpini, con le divisioni Cuneense, Tridentina e Julia), partirono per la Campagna di Russia. Sarebbero dovuti andare nel Caucaso, invece vennero spostati per difendere la linea del Don. Era il settembre del 1942. Il teatro operativo era totalmente diverso rispetto al clima di montagna in cui erano abituati a operare: addio vette, le steppe costrinsero i militari a tutt’altre dinamiche e necessità. Erano senza armamenti anticarri e artiglierie contraeree. Non avevano gli strumenti per resistere al gelo. Le truppe dell’Armata rossa obbligarono gli Alpini italiani a una ritirata che portò alla morte dei due terzi del personale in campo. L’offensiva russa di Ostrogozsk-Rossosk fu così forte che portò all’accerchiamento degli Alpini. Due divisioni, Julia e Cuneense, rimasero intrappolate a Valujki e si arresero. Tutto ciò, mentre la Tridentina si rese protagonista della battaglia di Nikolaevka, quella che poi venne raccontata da Giulio Bedeschi in “Centomila gavette di ghiaccio” e “Nikolaevka: c’ero anche io”, oltre che da Mario Rigoni Stern nel “Sergente nella neve”. Il giorno di quella battaglia, 26 gennaio 1943, ora diventa una ricorrenza. Camera e Senato hanno di recente dato l’ok alla legge che costituisce la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli alpini proprio per ricordare quell’atto di eroismo.

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